Non capita spesso negli ultimi tempi di sentire voci che diano conto con uno sguardo positivo sulle prospettive italiane. Se si eccettuano i giudizi degli uomini di Governo, che tuttavia appaiono strumentali e interessati, la panoramica è altrettanto sconfortante quanto ricca di allarmi: sulle pensioni, sul debito pubblico, sull’occupazione, per non parlare delle incombenti minacce esterne del terrorismo e del riscaldamento globale. Tutto vero, certamente, tutto fondato su elementi concreti e sicuramente preoccupanti.
Ma proprio per affrontare questi problemi l’atteggiamento del “tutto sbagliato, tutto da rifare” appare quanto meno controproducente e utile solo a favorire un facile e superficiale consenso verso i populismi di varia specie.
È allora da salutare con un sospiro di sollievo il fatto che studiosi seri ed autorevoli, mettendo in fila numeri e previsioni, arrivino alla conclusione che probabilmente qualche elemento positivo e qualche buona prospettiva si può anche trovare nel futuro prossimo del paese.
Il riferimento è al XX rapporto sull’economia globale e l’Italia elaborato dal Centro Einaudi di Torino, coordinato da Mario Deaglio, un rapporto che dal ’96 ad oggi ha avuto il merito di analizzare e anticipare, pur nella loro complessità, le grandi tendenze di fondo e le ripercussioni per la realtà italiana.
Quest’anno si pongono particolarmente il rilievo i grandi cambiamenti di fondo che le tecnologie provocano a ritmo sempre più serrato, cambiamenti che offrono grandi opportunità, ma insieme mettono in tensione il mondo del lavoro, le organizzazioni sociali, la dimensione stessa della partecipazione democratica.
Ma bisogna sottolineare come la conclusione del rapporto è comunque improntata all’ottimismo della volontà e a una serena valutazione della realtà. Con la prospettiva che la ripresa economica in Italia possa anche ridurre il peso di un elemento particolarmente rilevante come il debito pubblico. “La perseveranza – sottolinea il rapporto – dovrebbe portare ad una accelerazione progressiva del tasso di crescita, non foss’altro che per il diffondersi di un clima di fiducia tra famiglie e imprese, a un miglioramento delle finanze familiari e imprenditoriali, a un volume di spesa per consumi sostenuto da redditi da lavoro che riprendono a salire, in linea con l’aumento della produttività”.
Per l’Italia quindi qualche elemento positivo si vede all’orizzonte e il rapporto del Centro Einaudi, che ha per titolo “La ripresa, e se toccasse a noi?”, lo mette giustamente in evidenza come segno di un cambiamento possibile. Si sottolinea così la leggera crescita delle spese delle famiglie, il forte rimbalzo del mercato dell’auto,il recupero delle spese per il turismo, anche determinato dal buon successo dell’Expo milanese, il nuovo interesse per i mutui immobiliari e quindi per gli investimenti nell’edilizia, da sempre un settore trainante per l’economia.
Un futuro possibile, che potrebbe diventare probabile se ognuno farà la sua parte nel cambiare vecchi comportamenti. Non sarà facile, dato che siamo nel paese dei privilegi diffusi e dove domina quel benaltrismo inconcludente per cui il problema è sempre un altro.
Ai segnali positivi si contrappongono comunque elementi di forte criticità come l’eterna questione meridionale, aggravata dall’insipienza delle classi politiche locali, così come le sofferenze nel credito bancario, provocate in gran parte dalle crisi che ha colpito piccole e medie imprese, ma anche da una gestione talvolta politico-clientelare dei prestiti.
A livello globale è significativo che il rapporto, insieme alle tradizionali analisi sulle scenario geopolitico, si soffermi a lungo, come detto, sulle innovazioni della tecnoscienza, innovazioni che hanno già cambiato in maniera anche sostanziale i nostri stili di vita, ma che non hanno certamente sviluppato tutte le loro potenzialità.
Si parla così dell’auto che si guiderà da sola, della distruzione creatrice di Internet, della nuova batteria capace di rendere sempre più utilizzabile le energie rinnovabili, dell’economia della condivisione resa possibile da una connettività sempre più pervasiva.
Molti effetti li misuriamo già ora, per esempio con un sistema informativo fortemente condizionato e sviluppato dai social network, con la crescita degli acquisti via internet, con la trasformazione digitale di interi settori, dalle prenotazioni alberghiere alle carte geografiche.
Gli scossoni sono visibili nel mondo del lavoro dove resiste sempre più a fatica il vecchio modello di impiego a tempo indeterminato, con un salario definito dai contratti, con un orario rigido e un posto riservato. Nuovi spazi si aprono per un lavoro se non autonomo, almeno gestito autonomamente, ma soprattutto per impieghi che uniscano capacità creative a competenze negli sviluppi digitali.
In questa prospettiva, e tornando all’Italia, stupiscono solo in parte le reazioni polemiche e ostili del vecchio sindacato italiano dopo le affermazioni del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che con sano buon senso ha osservato che é sempre meno logico riferire il salario solo al l’orario di presenza nell’azienda. Non solo perché molti impieghi sono basati sulla connettività e la connettività è ormai largamente “mobile”, ma anche perché il lavoro si misurerà sempre più con la qualità, con il valore aggiunto personale, con la creatività.
Le polemiche sono state un’altra dimostrazione di un’Italia in ritardo, almeno in una parte di quella che dovrebbe essere la classe dirigente, un ritardo che si presenta periodicamente su diversi fronti. Quello dell’uso dei fondi strutturali europei per esempio, o dell’adeguamento delle regole amministrative, o dell’attuazione delle pur timide riforme strutturali che Governo e Parlamento riescono a varare.
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