È morto Gaspare Morgione. Aveva ottantacinque anni. Giornalista, scrittore, vignettista, ha firmato articoli, racconti, fiabe. Per noi di RMFonline era un amico, prima che un collega. Meglio e di più: un maestro fraterno.
Ha tenuto, fin dagl’inizi di quest’avventura editoriale e con lo pseudonimo di Pipino, la rubrica satirica “Sarò breve”, aggiungendovi poi quella che volle chiamare “Pensieri impensati”, dove esercitò il suo finissimo umorismo.
Bravura, umanità, rigore morale, lealismo si sono accompagnati alle sortite del suo genio, di cui con metodica frequenza ha messo a parte i lettori. Gliene siamo stati grati. Gliene saremo sempre.
Alla moglie Agnese e ai familiari le condoglianze affettuose di tutti noi.
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Nel libro “La sciarpa verde, cronaca di un incontro editoriale nella Varese di mezzo secolo fa” edito da Lativa, il capitolo dal titolo “Mi fido della sua faccia” documenta gli esordi di Gaspare Morgione. Eccolo, qui di seguito.
Alla fine di settembre del 1959 prende servizio a Bodio un nuovo maestro elementare. Ha appena vinto il concorso tenutosi a Varese, si chiama Gaspare Morgione, è abruzzese di Lanciano, non ha neppure trent’anni e se l’è sfangata in diversi faticosi lavori perché la vita gli ha spesso alzato l’asticella delle difficoltà da saltar via. Morgione è anche disegnatore e vignettista, una passione che l’ha preso quand’era poco più che un ragazzo. Ha già pubblicato sul “Bertoldo”, su “Albivamp” di Gino Sansoni, sul primo “Abc “ diretto da Baldacci, su “Domenica quiz” della Rizzoli. Gli editori ne riconoscono intuito e qualità versandogli qualche soldo che lo aiuta ad arrotondare lo stipendio. Ogni giovedì, quando gl’impegni scolastici lo lasciano libero, va a Milano, consegna ai committenti gli elaborati e ne concorda altri. Fare il maestro non l’infuoca d’entusiasmo, però gli spegne la cronica inquietudine della precarietà occupazionale. Quello statale è un lavoro sicuro.
Intanto si guarda attorno, conosce il luogo e le persone, l’ambiente sociale e culturale. Curiosa tra le pagine del quotidiano locale e gli vien la voglia d’inviare al direttore qualche suo scritto. Si decide nella primavera del ’60 e spedisce il racconto “Io, maggio e i gatti”. Il direttore, Mario Lodi, gli risponde cauto: noi, spiega, abbiamo agenzie di stampa che ci riforniscono di simili articoli, tuttavia potremmo pubblicare qualcosa di suo. Per darle una gratificazione. E per tentare un esperimento. Come dire: per ora non paghiamo nulla, poi vedremo. E’ una prova. E difatti va così. Uno, due, tre, e poi altri raccontini escono sulla “Prealpina”. Morgione ringrazia e coglie l’occasione per proporsi come vignettista. Incuriosito, il direttore risponde invitandolo in redazione. Lui va e gli mostra alcune pagine del “Travaso”, settimanale satirico romano di cui è assiduo collaboratore. La sorpresa dell’interlocutore è grande. «Ma lei è un professionista», esclama. Segue dichiarazione di modestia da parte di Morgione. Poi si mettono d’accordo: la “Prealpina” pubblicherà due vignette la settimana, in ultima pagina. «Vediamo che effetto fanno sui lettori» chiude la conversazione il direttore. La prima appare il 14 agosto. Alla vigilia dei Giochi di Roma il disegno di Morgione illustra l’uscio d’una sala maternità. Un’infermiera dal cui grembo spuntano i rotondi faccioni di cinque bimbi si rivolge al marito in attesa: «Penso che sua moglie si sia lasciata influenzare dalle Olimpiadi». Il pubblico accoglie con favore l’innovazione della “Prealpina”, in quel momento l’unico quotidiano d’Italia, assieme al “Giorno”, che pubblica vignette. Morgione è invitato a proseguire. Anzi, a intensificare. D’ora in poi lo pagheranno: 1500 lire l’una. «Una cifra per me importante» confessa.
Ancora più importante è la prosecuzione della sua storia personale (ma non solo sua, perché simbolica d’un certo modo di fare in una certa epoca). Verso la fine dell’estate Lodi gli scrive convocandolo e Morgione si turba: vuoi vedere, rimugina, che racconti e vignette non sono più graditi e mi vien dato il benservito? S’incontrano e la chiacchierata va subito al concreto. Lodi chiede: «Le andrebbe di fare il giornalista?». Lui resta di pietra: era, ed è, il suo sogno. Ma ha appena trovato il posto da maestro, e lasciarlo gli pare un tradimento. Di se stesso. Risponde con malcelata angoscia: «Ci devo pensare». Lodi lo sollecita a sciogliere in fretta la riserva, indicando la grande scrivania sulla quale riposano molte domande e altrettante raccomandazioni. Poi aggiunge una frase che dissolverà i dubbi di Morgione: «L’orientamento politico moderato del nostro giornale le è evidente. Io non la conosco bene, mi fido della sua faccia». Anche Morgione si fida della faccia di Lodi: non gli era mai successo d’incrociare una persona che gli rivolgesse un apprezzamento così sgombro da pregiudizi. Convengono, a maggiore tutela dell’aspirante giornalista, che egli chiederà -grazie all’intercessione del direttore presso il Provveditore agli studi- un periodo d’aspettativa a scuola coincidente con alcuni mesi di prova alla “Prealpina”. Poi stabiliranno se continuare insieme l’avventura.
Morgione è il primo assunto di Lodi, che aveva preso le redini del giornale il 3 gennaio del ’60. Comincia a fare il praticante il 2 novembre. Ha scritto: «Una data all’apparenza non propizia, ma che in realtà segnava opportunamente la scomparsa del maestro di Bodio e l’esordio come giornalista». Inizia in cronaca, sgobba dalla mattina alla sera e dalla sera a notte fonda. Cinque in tutto i redattori. «Erano gentili e comprensivi, specie Peppino Meazza, collega anziano che guidò i miei primi passi». Al lavoro redazionale continuò ad affiancare le vignette, passando dall’umorismo generico alla satira politica e dedicandone alcune ai fatti che accadevano nella quotidianità locale. La prima viene suggerita da una misteriosa moria di pesci nel lago di Varese che solleva proteste, costringe le autorità a ordinare una serie d’analisi e si conclude con un responso singolare: nelle acque non circola alcun veleno. La vignetta illustra un uomo che guarda con aria sorpresa persici, lucci e tinche galleggianti senza vita. E dice: «Ho capito, crepano di salute».
Creperà (ma per davvero) di salute il rapporto di Morgione con Lodi e con la “Prealpina”. Gli capiterà più volte di potersene andare, approdando a importanti testate nazionali, ma preferirà restare a Varese dove finirà la carriera da condirettore. «Non potevo che essere riconoscente con chi s’era dimostrato aperto, generoso e leale verso di me in un’epoca in cui ai meridionali di solito non andava così bene>. Proprio ai meridionali dedicherà la vignetta comparsa il giorno dopo lo sbarco sulla Luna, il 22 luglio ’69: Armstrong mette il piede al suolo e uno strano omino gli si fa incontro esclamando: “Terùn!”». Strepitosa.
Massimo Lodi
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