(S) Ho visto per tutta Varese i manifesti che annunciano il trasferimento della scuola Manfredini nella nuova sede. Un bel risultato! Sei contento?
(C) Certamente. Merito di chi ci ha lavorato in quindici anni e continua ancora con lo stesso entusiasmo dell’inizio. La nuova sede, riunendo primaria e secondaria di primo grado (elementari e medie, per intenderci) risolve problemi logistici pratici, ma consentirà anche di far crescere i rapporti personali tra insegnanti e faciliterà lo sviluppo della comunità educativa. Però la cosa che mi ha fatto più contento è stata ascoltare il discorso del Papa al Congresso mondiale promosso dalla Congregazione per l’educazione cattolica: ci ho ritrovato le stesse preoccupazioni, lo stesso metodo, gli stessi accenti, le stesse speranze che ci hanno mossi all’inizio.
(O) A me sembra che la genialità di Francesco, sia stata di parlare dell’educazione come tale, non solo della scuola cattolica e tanto meno del suo finanziamento pubblico, che molti Stati continuano a negare o, come l’Italia, a fornire in modo marginale e disuguale. “Educare cristianamente non è soltanto fare catechesi … Non fate mai proselitismo nelle scuole! Mai! Educare cristianamente è portare avanti i giovani, i bambini nei valori umani in tutta la realtà, e una di queste realtà è la trascendenza. Oggi c’è la tendenza ad un neopositivismo, cioè educare alle cose immanenti”. Più avanti dice che la scuola si occupa di trasmettere concetti, dimenticando che l’uomo non è fatto solo di testa, ma anche di cuore e mani, deve occuparsi anche di valori e di formare abitudini, stili di vita; conoscere, amare e agire sono tre linguaggi che devono crescere in armonia e nello stesso tempo in ogni giovane. La scuola non può limitarsi ad istruire, lasciando alla famiglia il compito dell’educazione.
(C) Il Papa parla di rottura del patto educativo tra lo Stato e la scuola e tra la scuola e la famiglia. Oltre all’influenza del positivismo, in Italia è ancora molto forte quella dell’idealismo, che dava allo Stato valore etico. Fino a qualche anno fa, (ora non so) passando davanti al Ministero della Pubblica Istruzione si poteva vedere ricomparire, trapassando un’imbiancatura malfatta, al di sotto della nuova insegna, il vecchio nome: ‘Ministero dell’Educazione Nazionale’. Quello, come dice Francesco, era uno Stato ideologico che approfittava dell’educazione per portare avanti la propria ideologia, ma io penso che sia non meno ideologica la pretesa di buttar fuori dalla scuola tutto ciò che non è pura istruzione o, peggio, addestramento. Vedi le polemiche su come vivere il Natale nelle scuole. Se consideriamo che anche fuori dalla scuola la cultura dominante tende all’omologazione, lo spazio per una educazione che sia “introduzione alla totalità della verità”, è in una “educazione di emergenza”, una educazione “informale”. Di questa ipotesi la scuola cattolica deve farsi esempio ed avanguardia per ogni scuola, introducendo il linguaggio del cuore e delle mani e continuando a spaziare nella totalità della realtà.
(S) Non capisco questo concetto di ‘educazione informale’.
(C) Mi viene in mente don Milani e la scuola di Barbiana. Il suo studente, bocciato all’esame di privatista perché non sapeva il nome del padre di Minerva, Giove. Questo è formalismo e rigidità. La scuola di Barbiana introduceva alla totalità della vita. Così deve fare ogni scuola, in accordo e in continuità con la famiglia, in modo che nulla venga lasciato fuori. Francesco fa due esempi: arte e sport, come occasioni di esperienze educative, ma punta soprattutto su esperienze di ‘periferie’, dove la vita non è separata dalla scuola: “. Ma quando sono andato in Paraguay, in una scuola di periferia avevano fatto un incontro di alcuni giorni, i giovani, giovani non dirò di strada, ma giovani di periferia, poveri, senza l’essenziale; e questi giovani, ragazzi e ragazze tra i 14 e i 16 anni, hanno scelto di parlare su alcuni temi, alcuni temi forti. E io ho sentito la discussione fra loro, e le conclusioni delle discussioni su uno dei temi: la gravidanza adolescente. Io ho pensato: come mai questi, che vivono così, che vivono sulla riva di un fiume che va e viene [spesso straripa], che hanno poco da mangiare, sono capaci di pensare così? Perché hanno avuto un metodo e un educatore o un’educatrice che li ha portati per mano”. Tutto concorre all’educazione, la famiglia e la scuola, i libri e le canzonette, internet e il Vangelo, ma tutto deve essere proposto e accompagnato da un educatore e da un metodo e suscitare nel soggetto una risposta di libertà. Altrimenti non è educazione, ma condizionamento.
(O) Un esempio che ti posso fare è quello di una mia esperienza, ahimè lontana. Quando feci la Scuola di alpinismo del CAI di Varese, trovai esattamente degli educatori e un metodo: gli istruttori non solo ci spiegavano la tecnica (la testa), ci facevano arrampicare (le mani) ma ci rendevano partecipi delle emozioni, della bellezza, della prudenza e del coraggio, di tutto il vissuto che la montagna aveva dato loro. Questo si può ben chiamare ‘cuore’.
(C) Legarsi in cordata tra educatori e alunni? Ma non deve restare solo una bella metafora!
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