Non di solo pane vive l’uomo, ammonisce il Vangelo, ma non è una buona ragione per buttarlo via. Che utilizzo fa Esselunga del pane invenduto a fine giornata nei suoi negozi? E’ vero che la filosofia aziendale è di far trovare all’ultimo cliente lo stesso assortimento proposto a chi entra per primo? Costa di più regalare il pane avanzato in beneficenza o gettarlo nel cassonetto? E in caso di smaltimento il pane finisce nei rifiuti organici o in quelli indifferenziati?
Abbiamo provato a chiederlo direttamente al colosso della grande distribuzione che produce ogni giorno diciotto varietà di pane con cento forni e più di 1600 addetti; ed ecco la risposta che l’ufficio-stampa ci ha fornito via mail: “Esselunga sforna di continuo pane fresco durante l’intero arco della giornata nei suoi negozi dotati di forno. È interesse dell’azienda ridurre al minimo la rimanenza di pane alla chiusura del negozio e pertanto stiamo studiando dei sistemi di raccolta dell’invenduto”.
Già, ma nel frattempo che cosa succede tutte le sere del pane fresco che avanza? Finisce nei cassonetti? Fateci caso: avvicinandosi l’ora della chiusura non è difficile notare gli addetti del reparto panetteria confezionare grandi sacchi con il pane invenduto. Francesine, ciabattine, morbidi e invitanti bocconcini, mantovane lavorate all’olio, pane alle olive, all’uva e deliziose focaccine ancora calde e profumate di forno, poco prima esposti in vetrina e nei ripiani, finiscono nei sacchi. Possibile che non si trovino alternative?
L’ultimo rapporto Istat sulle condizioni di vita degli italiani rivela che, pur migliorando leggermente lo stato di grave deprivazione, una persona su quattro è a rischio povertà o esclusione sociale. Non è un caso che nella sola provincia di Varese oltre novanta punti-vendita e milletrecento volontari abbiano aderito alla giornata della Colletta Alimentare la scorsa settimana, raccogliendo 133 quintali di cibi non deperibili per i poveri. Una dimostrazione di sensibilità e un segno di necessità.
Basta aprire il sito di Esselunga per scoprire le tante attività benefiche che il gruppo fondato nel 1957 svolge nel sociale, dal sostegno ai bambini cardiopatici e nefropatici nel mondo, alla banca del latte della clinica Mangiagalli, ai piccoli pazienti dell’ospedale Buzzi di Milano. Proprio per questo ci chiediamo perché il ricco e generoso marchio della “grande esse”, protagonista del mercato da quasi sessant’anni e famoso per la qualità dei prodotti e il culto del cliente, non si organizzi per evitare lo spreco del più indispensabile degli alimenti che l’azienda stessa produce.
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