Vietare il burqa nei luoghi pubblici e in luoghi aperti al pubblico. Chi contravviene all’obbligo può essere colpito da multe salate. La decisione è stata presa in questi giorni nel limitrofo Canton Ticino e anche il sindaco di Varese ha detto basta e aspetta la conferma del prefetto Giorgio Zanzi. Il provvedimento, per ragioni di ordine pubblico e a tutela dei cittadini, impone che il volto sia scoperto e non celato alla vista altrui. Sbaglia dunque chi lo ritiene una misura inopportuna, o l’ennesima boutade della Lega che, in realtà, non ha mai perso occasione per dimostrare la sua esterofobia e che, in fatto di trovate o battute amene nei confronti di Paesi e culture diverse, non si è mai fatta mancare niente, da Bossi a Calderoli, da Borghezio a Salvini.
Vero è che la situazione internazionale ora più che mai giustifica, anzi richiede, che nessuno circoli nascondendo le proprie sembianze agli altri. Sarebbe stato infatti opportuno esserci arrivati prima -anziché sull’onda della paura del terrorismo internazionale – senza farsi prendere dal timore di offendere alcun sentimento religioso. Perché non di mancare di rispetto a persone o sentimenti religiosi – la questione è discussa – si tratta, ma di permettere a tutti di poter incrociare il volto e gli occhi di chi ti passa vicino, senza il timore che sotto un burqa si celi il pericolo di un pazzo, o peggio di un potenziale terrorista. Qualcuno dice: ma quando mai s’è visto un burqa o un niqab tra noi?
Rispondiamo che ci sono e si vedono, eccome. Semplicemente non sempre ce ne accorgiamo.
Un esempio: un mese fa circa, quattro signore, completamente rivestite di nero, un niqab, sedute ai tavoli di un bar in Corso Matteotti, richiamavano l’attenzione dei passanti creando un certo inusuale effetto. Difficile capire se c’era più imbarazzo o divertimento in chi doveva accorgersi di essere così osservata. Le abbiamo riviste il giorno successivo in corso Moro. Qui una delle donne si è graziosamente fermata e con gesto elegante, inchinandosi, una mano sul cuore, ha lasciato una moneta nelle mani di un’ anziana mendicante, seduta sul pavimento dei portici da giorni. Un gesto di pietà e generosità che ha rivelato per un attimo un fuggente sguardo di giovane donna.
Sembrava trascorrervi una sorta di soddisfazione, forse di poter dare sollievo all’anziana e forse, insieme, una lezione a quanti superavano la questuante con indifferenza.
Secondo esempio: provate a farvi un giro al mercato di Varese. Qui la presenza di venditori arabi è in aumento continuo e quindi non è raro incontrare qualche cliente che sfoggia il burqa o il niqab.
La presenza di venditori arabi, come di altre provenienze – tanti anche i cinesi – ė spesso un valore aggiunto, a un mercato sempre più specchio di una società multiculturale. Il gusto raffinato, la qualità e la gentilezza di chi vende a volte superano quella dei nostrani ambulanti.
Ma anche qui, come noi diamo spazio e credito umano a loro, è giusto chiedere di capire che ogni Paese ha le sue regole e che la più importante dev’essere quella della reciprocità, del vicendevole rispetto. Le signore occidentali in visita ai paesi islamici indossano il velo, noi abbiamo il diritto dovere di chiedere loro di non volerci nascondere le loro identità di donne, intendiamo i loro visi, i loro sguardi. Sguardi di cui nessuno, in nessun Paese, dovrebbe più avere paura. Perché non si può temere la vita.
“Dagli occhi delle donne – diceva Shakespeare – derivo la mia dottrina: essi brillano ancora del vero fuoco di Prometeo, sono i libri, le arti, le accademie, che mostrano, contengono e nutrono il mondo”.
Di tutto questo, nessuno dovrebbe avere paura, temendo la luce, più del buio della morte.
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