“Politica senza classe”: il titolo accattivante campeggia in una copertina tricolore, aprendo più linee di interpretazione. L’autore Franz Foti, giornalista e docente di Comunicazione pubblica e istituzionale all’ Università degli Studi dell’Insubria, offre infatti una lettura delle vicende politico-sociali del nostro Paese negli ultimi vent’anni con riferimento allo scadimento della classe politica italiana, ma anche alla perdita di corrispondenza e relazione tra ideologie e classi sociali, lette anche alla luce di una povertà comunicativa e senza stile nel rapporto tra politici e cittadini. La riflessione si articola in un percorso lineare, che affranca il presente alla sintesi storica individuando nel “profittismo”, vale a dire nel fine individualistico o lobbystico di trarre vantaggio in qualsiasi modo e a qualsiasi costo, “la nuova cortina di ferro, ideologica, che separa un mondo dall’altro”.
L’analisi di Foti poggia sulla valutazione degli ultimi venti anni come un periodo di oscurantismo politico e culturale, affidato ad una classe dirigente priva di “visus progettuale”, distante dai bisogni del paese e ancorata ai privilegi e alla ricerca di consenso. “Siamo ormai da tempo di fronte a uomini senza più classi sociali stabili di riferimento e senza classe nel modo di gestire e di porsi nei confronti dei cittadini e degli elettori” sostiene l’autore, che individua una ulteriore aggravante nel fatto che esista una “supremazia politica delle componenti professionali che hanno trasformato la composizione sociale del parlamento, che non è più rappresentativo di figure socialmente numerose, ora persino scomparse dalle liste dei candidati” perché “il Parlamento è rappresentato prevalentemente da avvocati, medici, commercialisti, imprenditori, politici di lungo corso”.
Quello che occorre è quindi un nuovo rinascimento, nell’etica, nella progettualità, nella relazione e nella comunicazione. Le forze politiche dovrebbero ripartire dalla volontà di dare speranza certa e duratura, anteponendo ad ogni azione la dimensione naturale dell’ascolto e della vicinanza, attente quindi agli elettori e disponibili ad entrare con loro in una relazione non fittizia o di facciata.
Foti propone il quadro deontologico del politico, capace di “pratiche riflessive aderenti ai principi del pluralismo e della tolleranza”, rafforzate da una leadership condivisa e lontane da forme di superficialità, narcisismo e superbia. Analogamente, le forze politiche devono consolidare al proprio interno i presupposti imprescindibili della conoscenza dei bisogni dell’elettorato contro ogni tentazione di competizione interpersonale e di conflitto, della formazione e della competenza contro ogni scadimento nel pressappochismo, della selezione dei gruppi dirigenti sulla base di reali rapporti di collaborazione e della propensione al cambiamento contro ogni velleità di mantenimento dello status quo o della difesa di privilegi.
In questo contesto riflessivo, centrale è il ruolo della comunicazione, che diventa essenziale nella vicinanza tra classe politica ed elettori, sia a livello di relazione personale del singolo politico con i cittadini, sia nel rapporto con il sistema di informazione e le sue multiformi espressioni e strumenti.
Una comunicazione che, secondo Foti, deve ancorarsi ai valori della libertà e della verità perché “ le parole sono magia e potere, sono straordinarie, ma possono essere terribilmente ordinarie: dipende da come si usano. Senza le parole non ci sarebbe la storia e gestirle significa assumersi una bella responsabilità”.
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