Va bene tutto, o quasi. Il cordoglio, l’unità d’intenti, respingere la paura, je suis Paris, caccia al terrorista, Bruxelles blindata, bombe su Raqqa (raddrizzate la mira, vi prego), Valium per Erdogan e Putin, 80 euro alle forze dell’ordine. Tutto quello che volete per fermare lSIS (so che ci sono altre definizioni più appropriate, ma così ci capiamo).
Una cosa sola non mi va bene: perdere la mia identità. La mia personale, insieme a quella del Paese in cui sono nato, sono stato educato, ho cresciuto ed educato dei figli, in cui vorrei continuare a vivere, il solo in cui penso di poter essere felice. Fino a poco tempo fa lo chiamavo Italia, da qualche anno lo chiamo Europa. Questo Paese lo vedo davvero minacciato. Non dal terrorismo, non dall’immigrazione, non dal debito pubblico, non dalle insolvenze delle banche, non dai jet russi, non dal colore della pelle, non dalla corruzione, non dal populismo, non dal moralismo.
Temo di più quella cosa che più di quarant’anni fa Pasolini chiamava omologazione culturale: fosse qui ora a vedere come siamo omologati. Temo le esagerazioni retoriche, con cui tentano di distinguersi le élite culturali e politiche. Temo la banalità del male, ma ancora di più la banalità come tale. Temo il formalismo. Temo la riduzione dell’educazione ad apprendimento di concetti, trascurando la formazione di abitudini e di valori, come Papa Francesco ha spiegato agli insegnanti cattolici.
Non amo tutta questa Marsigliese a dosi massicce, mi ricorda poca liberté, quasi niente égalité, niente fraternité. Mi ricorda il Terrore più che la lotta al terrorismo, mi ricorda la Vandea tanto quanto la Francia della battaglia sulla Marna e della Résistance.
Non amo lo spreco di ‘Imagine’: musica più accattivante che bella, testo troppo buonista per essere sinceramente nichilista: non mi va di non avere patria, né religione, anzi le ritengo essenziali alla vita personale e civile. Certo, non mi piace confonderle tra di loro ed avere da esse ragioni per uccidere e morire come i jihadisti sostengono, ma vorrei avere più ragioni per vivere e più speranza per morire in pace e non disperato.
Canterei più volentieri ‘Douce France’, anche se Charles Trenet era solo uno chansonnier da music-hall e non un intellettuale impegnato, ma la sua canzone, composta nel’43, ha dato memoria e sollievo alla Francia occupata e ai prigionieri deportati.
Riesco ad immaginarmi francese o americano, argentino, brasiliano, persino inglese o tedesco, insomma occidentale: penso che vivrei benissimo in qualsiasi Paese d’Europa o d’ America. Ma penso anche che potrei vivere altrettanto bene in qualsiasi altro Paese del mondo, a due condizioni: che sia rispettata la mia identità culturale e sia mantenuto un legame forte con la mia realtà d’origine; in altre parole, che abbia una missione.
Analogamente ho molto interesse, rispetto e simpatia per tutte le altre religioni, islamismo compreso; di tutte respingo solo l’intolleranza violenta; apprezzo alle stesse condizioni razionalismo, agnosticismo e ateismo e non solo le singole persone (è facile apprezzarle in quanto alla ricerca della verità), ma proprio le argomentazioni, anche contrarie alla religione, perché dal confronto può nascere una certezza più sicura anche per me. Ci si può, anzi si deve, paragonare con tutto; più della menzogna mi ripugna la banalità, l’ovvio, l’opportuno, il furbo, insomma tutto ciò che riduce la voglia di vivere, di amare, di capire e di condividere le gioie e i dolori, anche se nulla, nemmeno la paura, può spegnerla del tutto.
Quella con l’ISIS è una faccenda politica, che gli stati devono risolvere con tutti i mezzi legittimi a loro disposizione; rivedano i gravi errori compiuti in passato e quelli ancor più gravi di questi ultimi tempi: il più grave è la sottovalutazione del sedicente califfato, come se si trattasse di una banda di esaltati incapaci di attrattiva verso la grandissima massa dei credenti e verso alcuni dei più potenti Stati di cultura islamica, che applichino o no la Sharia.
Ciò che invece riguarda direttamente ciascuno di noi e che ciascuno può esprimere in modi diversi è il gusto per la vita, la cui perdita, diceva Teilhard de Chardin, sarebbe una catastrofe per l’umanità peggiore di qualsiasi evento, umano o naturale, e darebbe ragione ad un’affermazione di Bin Laden, (credo): “Vinceremo, perché noi amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita:”
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