Il confronto fra i candidati della coalizione PD-Varese 2.0 è entrato nel rush finale. La griglia di partenza è buona e policroma al punto giusto. Un politico esperto, Daniele Marantelli, dieci anni in Regione e quasi dieci in Parlamento. Due persone conosciute, Davide Galimberti e Dino De Simone, con una buona militanza politica nel centrosinistra e nel PD. Un uomo lontano dai partiti, Daniele Zanzi, con una reputazione professionale di livello internazionale e ben dentro la vita civica e sociale della città.
Non una competizione confermativa per assegnare lo scettro a qualcuno già predestinato, dunque, ma una gara democratica aperta ad ogni risultato. Continuo ad affermare con forza questo concetto perché lo reputo la chiave vincente di una coalizione fra uguali che sappia portare ai gazebo molti elettori (non solo i militanti) e che rimanga ben salda dopo le primarie del 13 dicembre (qualunque ne sia l’esito) per battere il centrodestra e amministrare la città.
Qualcuno obietterà che ciò non è vero, che vi è un’evidente sproporzione delle forze in campo ma io ho un’idea diversa anche perché la forza maggiore è divisa al suo interno. Per non eludere uno dei punti più delicati mi domando: quanto conta alle primarie il sostegno quasi univoco ad un candidato dei giornali locali? Vale certamente, inutile minimizzare, ma vale ancora di più l’empatia con i cittadini normali che leggono poco e sono pochissimo politicizzati.
La parola magica che tutti, più o meno, usano è “discontinuità”. Ce n’è di diverso tipo. La prima, la più facile e propagandata da tutti i candidati, è verso l’amministrazione uscente. Poi c’è quella nei metodi e nelle strategie, quella che riguarda le scelte fatte negli ultimi anni e decenni. Sbaglierò, ma questa valutazione peserà tanto per la semplice ragione che tutti i candidati dichiarano che il “cambiamento” è il fattore decisivo da mettere in campo in questo momento.
È più importante la visione della città futura oppure la declinazione dettagliata dei programmi? Non può mancare la concretezza dell’approccio, è chiaro, ma è sbagliato perdersi dietro le piccole cose. Faccio un esempio concreto. Stefano Malerba, imprenditore e potenziale candidato del fronte avverso, ha dichiarato che riparare le buche non è né di destra né di sinistra. Era la prima uscita, capisco cosa volesse dire e non voglio infierire, ma esprimersi così è un modo per ridicolizzare il dibattito sulla città, per ridurre il suo ruolo al piccolo cabotaggio. Non è di questo che Varese ha bisogno.
Qual è l’asset più prezioso di Varese? Sono importanti il sistema socio-sanitario e le strutture pubbliche da capoluogo di provincia, altrettanto l’essere (stata?) distretto manifatturiero e altro ancora. Ma se dovessi scegliere un solo valore su cui investire indicherei la bellezza dell’ambiente, sia naturale che edificato dall’uomo nel corso dei tempi. Il che è anche il presupposto per diventare, più che mai, città della cultura, dei servizi alla persona, dell’università. Non voglio entrare nel merito tecnico ma vedrei molto bene un solo grande assessorato per l’ambiente, la cultura, il turismo.
Per tutte queste ragioni resta risolutivo lo sguardo lungo, la Varese che si ha in testa di costruire in parecchi anni. Non voterei, ad esempio, un candidato che s’impegnasse per un solo mandato, che rinunciasse già subito alla riconferma. Eviterei un altro caso Pisapia. Varese necessita di un difficile e dispendioso lavoro di profondità e di tempi non affatto brevi.
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