Con i discutibili lavori in corso per l’abbattimento dei gradoni e la scadenza dei tempi dei bandi internazionali di progettazione preliminare, è di nuovo d’attualità la riqualificazione di piazza Repubblica, il malconcio e lacerato biglietto da visita della città, col contorno male assortito del teatro. Ma l’immediatezza delle questioni particolari tende a far perdere di vista il quadro ed il percorso storico che, scena dopo scena, ha prodotto il melodramma odierno.
In principio era il Buco. Emblema della voragine del debito pubblico e dell’abisso morale di Tangentopoli anche a Varese, lo scavo in piazza Repubblica a cominciare dal 1988 era un incubo a cielo aperto. Abbattuto il bel Mercato Coperto in stile liberty per costruire le forme da cubetti per bambini del Centro Commerciale Le Corti, pretenziosa e mediocre architettura presuntivamente postmoderna, per molti anni il Buco – complice il fallimento dell’impresa che doveva realizzarci il parcheggio sotterraneo – ha accolto l’ingresso in città come simbolo massimo del degrado varesino, corredato dall’ex Caserma Garibaldi fatiscente e a rischio crolli. E così qualunque soluzione andava bene, pur di riempirlo e togliere a Varese il marchio d’infamia.
Se ne incaricò la travagliata Giunta Fassa post-Tangentopoli, nata come estroso e originale centro-sinistra con appoggio esterno PDS, quando ancora la Lega varesina si vedeva partito repubblicano di massa: a metà anni ’90 e dopo aver tentato soluzioni di qualità con l’architetto Mocchetti, allora direttore della prestigiosa Bell’Italia, si finì per accontentarsi di quello che passò il convento, ossia la proprietà, col bel risultato di una piazza lunare senza la luna a illuminarla, dato che anche la maxi torre-faro che doveva dare sicurezza fu accantonata per mancanza di soldi. E al posto del nuovo teatro, le giunte leghiste successive si accontentarono a loro volta dello scatolone con le gobbe, un teatro-tenda con problemi acustici irrisolvibili e che dal 2001 vive nel miracolo, avendo già superato del 50% la sua speranza di vita, a scadenza nel 2010. Mentre l’ex caserma continuava a decadere, ma veniva comprata dal Comune di Varese per due milioni e mezzo di euro poco prima che lo Stato decidesse di regalare ai Comuni le caserme dismesse.
Da lì una lunghissima vicenda di sogni e dibattiti sulla riqualificazione della piazza, sempre più desolata preda serale di bande etniche per lo spaccio di stupefacenti. E di sogni e dibattiti sul nuovo teatro all’ex caserma, per dare finalmente dignità culturale alla città capoluogo, invidiosa dei quattro teatri della piccola Gallarate. Perso il contenzioso con la Soprintendenza lombarda ai Beni Culturali per la trasformazione della caserma in teatro, la conclusione sembrava vicina con il recente Masterplan, il piano-quadro per la riqualificazione della piazza, con la caserma come polo culturale e la costruzione del teatro nuovo al posto del vecchio, in base all’Accordo di Programma tra Regione, Provincia e Comune a dicembre 2014, da cui derivano i due bandi di concorso internazionale in dirittura d’arrivo. Ma è davvero finita?
Il Masterplan è stato subito contestato, in Consiglio Comunale e sulla stampa da parte del PD, sui social media e con iniziative diverse – spesso su RMFonline – da parte di cittadini, opinionisti e comitati civici. In particolare, il comitato Varese 2.0 ha proposto a settembre un piano alternativo interessante, ma fuori tempo massimo e con il tallone d’Achille di dare per scontata la possibilità di “convincere” la Soprintendenza ai Beni Culturali a rivedere le prescrizioni conservative sull’ex caserma, che ne hanno reso impossibile la trasformazione in nuovo teatro cittadino.
L’Accordo di Programma, e relativo Masterplan a monte, sono ormai acquisiti e inconfutabili nelle linee essenziali, per mero realismo. Ma l’operato dell’Amministrazione leghista è censurabile per le modalità concrete con cui ha applicato l’Accordo di Programma, adottando due bandi distinti anziché un unico concorso di progettazione per l’intero comparto ed avviando un meccanismo realizzativo assai precario nella sostenibilità economica, senza contare la genericità delle destinazioni, innanzitutto dell’ex-caserma.
L’anonimato sino alla fine ed i tempi della procedura, che si protrarrà sino a fine dicembre per la proclamazione dei vincitori, non consentono oggi di accertare se possa esservi casualmente un vincitore unico per entrambi i bandi; ma è assai probabile, per non dire certo, che alla fine risultino vincitori due progettisti diversi, con evidenti problemi di armonizzazione successiva tra i due progetti. Il caso classico di dover indossare insieme una scarpa e una ciabatta puntando a vincere una gara di eleganza.
Ma d’altra parte il deplorevole sdoppiamento è figlio dell’altro difetto: la precarietà economica dell’operazione, mai adeguatamente approfondita e che comporta una spesa delle istituzioni pubbliche pari ad € 31.595.000, solo in parte già disponibili. Come infatti si evince dall’Accordo di Programma/Masterplan (solo lievemente ritoccato nelle stime dai bandi di concorso successivi), solo la prima parte dell’intervento, quella sull’ex-caserma e sulla piazza, è finanziata per intero. La spesa è pari a € 7.145.000 (2/3 per trasformare la caserma in polo culturale, 1/3 per la piazza), più che coperti dal complessivo finanziamento pubblico di € 24.500.000 dell’Accordo di Programma (€ 20.000.000 della Regione, € 1.000.000 della Provincia, € 3.500.000 del Comune).
Pertanto, dalla prima parte d’intervento avanzano € 17.355.000 a favore della seconda parte, ossia il nuovo teatro, la cui spesa complessiva è però di € 24.450.000. Mancano quindi € 7.095.000, che devono essere raccolti attraverso gli introiti derivanti al Comune dalle nuove costruzioni di edilizia privata, prevalentemente residenziale ed in parte direzionale e commerciale, sulla collinetta dell’ex collegio. Operazione da affidare ad un partner privato in grado di collaborare col Comune nel cosiddetto proiect financing, ossia in un partenariato finanziario e progettuale per la realizzazione del nuovo teatro, affrontando il rischio di un investimento unico ma a due facce: residenziale-commerciale-direzionale da un lato, culturale dall’altro. Rischio che è anche del Comune nel cercare un partner privato all’altezza, con la conseguenza di sdoppiare l’intervento su piazza Repubblica per andare sul sicuro almeno nella prima parte del risanamento, quella di caserma e piazza, coperte dal finanziamento pubblico; mentre per la seconda parte, il teatro da fare insieme al privato, si è davanti a un gigantesco punto di domanda.
Ma non è solo e innanzitutto l’alea del rischio-partner a suscitare riserve sulla seconda parte dell’operazione, bensì anche e soprattutto la misura dell’attrattività economica da garantire al partner privato, pur di “catturarlo” a co-finanziare il nuovo Teatro. Anche se il conteggio finale non è evidenziato nello studio di fattibilità economica accluso all’Accordo di Programma/Masterplan, la trasparenza pubblica ha imposto ai redattori di dichiarare almeno i parametri di costo e ricavo: basta fare le moltiplicazioni e la somma finale, e ci si accorge che, in termini prudenziali, la profittabilità minima dell’operazione è pari ad € 9.176.000, ossia il 21% dell’investimento complessivo di € 43.360.000. Senza contare che un’operazione partita per presunti interessi pubblici implica un valore di € 31.600.000 per la parte pubblica, mentre il valore economico è di € 43.360.000 per la parte privata, oltre 1/3 in più! Ma se, come l’Italia-Germania della mistica calcistica italiana, la parte privata batte quella pubblica 4 a 3, si tratta di un intervento pubblico o di una speculazione privata?
L’intervento in piazza Repubblica deve avere al centro in modo assolutamente preminente l’interesse pubblico, e quello privato deve restare accessorio e servente. Del resto il difetto sta nel manico, nella solita inversione tra mezzi e fini: la Giunta leghista ha impostato la parte teatrale del Masterplan in modo da scegliere come partner privato un operatore immobiliare, che si deve adattare ad occuparsi – anche, un po’ – di cultura e spettacoli; anziché scegliere un operatore culturale, che si allei in parte con operatori immobiliari per realizzare in modo economicamente sostenibile un teatro.
Data poi l’estrema genericità e le gioiose incertezze del Masterplan, quindi della Giunta, sulle destinazioni specifiche per l’ex caserma, prive di standard e previsioni d’utenza e demandate alla libera immaginazione “artistica” dei progettisti concorrenti, l’imminente conclusione dei bandi di concorso progettuali è destinata a non concludere nulla, se non a portare altra carne al fuoco del dibattito, che la futura Amministrazione Civica, da chiunque governata, avrà il compito di riconsegnare alla città: per chiarirsi le idee nel dettaglio e riconvertire all’interesse pubblico un intervento cruciale, la cui primogenitura è stata ceduta al privato per un piatto di lenticchie. Anche perché molte più lenticchie se le prende il privato: 9.176.000 a forma di euro.
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