“Di Marradi le guide turistiche dicono poco… In pratica un paese attraversato da una strada, senza particolari connotazioni culturali o linguistiche. Soltanto gli edifici di piazza Scalelle parlano ancora di un’epoca in cui Marradi fu la più piccola capitale della ‘Romagna toscana’ alla frontiera di due Stati: il Granducato e lo Stato della Chiesa”.
Questo, quasi in un baedeker al contrario, il secondo capoverso del capitolo introduttivo di un romanzo-biografia di Sebastiano Vassalli, “La notte della cometa”. Perché il piccolo paese di Marradi non è soltanto noto per la sagra della castagna, che si tiene ogni anno nelle domeniche del mese di ottobre, ma per avere dato i natali a Dino Campana, uno dei poeti più controversi dei primi del Novecento. E Vassalli, grande scrittore purtroppo mancato alla fine del mese di luglio dell’estate scorsa all’età di settantatre anni, ne scrisse appunto una biografia, nel 1984, che è più di una biografia, ma uno scavo, una ricerca, una storia italiana in cui in un certo senso autore e personaggio biografato vengono quasi a identificarsi nella loro eccentricità, nella loro solitudine e forse nella loro parvenza di follia.
Se sono consentiti dei paragoni con protagonisti dell’arte, si potrebbe forse accostare Dino Campana alla figura di Antonio Ligabue: altrettanto bistrattato, vilipeso e poi assurto a protagonista della pittura naïf. Campana era nato nel 1885, un anno generoso con altri poeti – d’acchito vengono in mente i nomi di Aldo Palazzeschi, di Marino Moretti, di Clemente Rebora – con i quali tuttavia non aveva molto da spartire. Alcuni critici, più che i colleghi, l’hanno poi amato e sostenuto; secondo altri – per Umberto Saba per esempio – Dino Campana non era che un matto. E in realtà Dino Campana, dopo essere stato in giro per l’Italia, per l’Europa e per il mondo, in un manicomio morì, a Castel Pulci di Firenze, “alle ore undici e tre quarti – recita l’atto ufficiale – del 1° marzo del 1932”. Aveva quarantasei anni. Un matto? Ma poi chissà che cos’è la pazzia. Di fatto, come poeta, ebbe in seguito forti influssi su Mario Luzi, su Andrea Zanzotto e soprattutto su Pier Paolo Pasolini. L’attore Carmelo bene gli ha dedicato indimenticabili performance di recitazione.
Un aneddoto ce lo descrive mentre consegna il manoscritto – unica copia – della sua opera “Canti Orfici” a Ardengo Soffici, perché lo leggesse e l’aiutasse a pubblicarlo; e poi le frequenti visite al Soffici per avere risposte e perché gli restituisse il lavoro. Questi alla fine lo cacciò via, dicendogli che il manoscritto l’aveva perso. Dino lo riscrisse daccapo, i versi, i punti e le virgole… L’aveva tutto in mente.
Una figura che soggioga quella di Campana. E anche Sebastiano Vassalli ne rimase affascinato. Non è un caso che il romanzo che Vassalli scrisse sei anni dopo “La notte della cometa” e intitolato “La chimera” (Premio Strega e Premio Campiello nel 1990) si richiamasse a una delle liriche più famose di Campana, la Chimera (“….Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti / E l’immobilità dei firmamenti / E i gonfi rivi che vanno piangenti…”), una visione complessa – a parte questi versi citati – per Campana che Sebastiano nel suo romanzo storico – la storia secentesca della strega Antonia – volle identificare nel Monte Rosa, la montagna che gli ha sempre fatto compagnia e che l’ha ispirato e tutelato, lui che era nato a Genova ma che era cresciuto nel Novarese. La storia di Antonia si svolge in un paese immaginario collocato nella piana di Biandrate, dove l’autostrada A26, la GravellonaToce, si innesta nella Milano-Torino.
A questo sito novarese Vassalli ha dedicato altri romanzi: vengono in mente “Le due Chiese” e “Terre selvagge” e tanti altri scritti dedicati a Novara e al “mio Piemonte”. Ma altri ancora perché Vassalli era uno scrittore a tutto tondo. Uno scrittore italiano. Nel romanzo uscito postumo e andato nelle librerie ai primi di settembre di quest’anno “Io, Partenope”, di nuovo un’altra storia di una donna, un altro romanzo storico ambientato in tutt’altra parte d’Italia, alla fine scrive: “Anche questa è una storia italiana. Come finirà? Ho raccontato Napoli e la Roma dei papi. L’Italia, l’ho già detto, è un insieme di storie grandi e meno grandi. Ma già dando un’occhiata a queste che ho passato in rassegna ne viene fuori l’immagine di un Paese che è, nel bene e nel male, quello dove ci è toccato nascere e dove tanti ancora dovranno vivere. Ho raccontato l’Italia”.
Storie grandi e piccole, Come quella di Dino, chi lo sa. Vassalli per raccontare della vicenda di Campana passò un lungo periodo a Marradi, immaginando il poeta vagare di notte nelle stradine poco illuminate, chiudersi in una stanza d’albergo con la sua donna – Sibilla Aleramo – e poi sparire. Una delle frasi finali ci porta diritti nella sala fumosa di un’osteria degli anni Venti in un paesino di provincia, dove magari Dino s’era affacciato, rimasta oggi così com’era allora: “S’è fatto tardi – scrive Vassalli –. Dal bar, che è proprio sotto la mia stanza, giungono voci di ubriachi. Chissà quante volte i suoi compaesani gli hanno offerto da bere per poi ‘riderlo’ fino sul viale Baccarini, fino sul ponte del Lamone…”.
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