Dante e Manzoni hanno scritto opere universali, di incredibile spessore esistenziale e culturale, proprio perché hanno sperimentato di persona il fallimento personale e la via della rigenerazione umana e spirituale. La Divina Commedia e I Promessi Sposi testimoniano quanto fragile sia la natura dell’uomo se non si mette in discussione, se non ricerca dentro e fuori di sé gli strumenti che gli permettano di trovare la via del rinnovamento interiore.
Sono molto simili. Entrambi si lasciano trasportare dall’ambizione, dalle cose del mondo, convinti che siano le uniche strade che permettano loro di raggiungere la felicità, ma i disegni umani sono sempre molto limitati e spesso non tengono conto dell’infinita collateralità degli eventi. Rimangono preda della loro stessa incapacità di vedere, di andare oltre le barriere dell’egoismo. La via della redenzione non è facile, passa attraverso cammini aspri e scoscesi. Occorre riannodare un filo che si è spezzato. È necessario ripartire dalla volontà di sottoporre a giudizio il proprio io, le proprie aspirazioni, i propri sentimenti, la propria miseria. Bisogna avere il coraggio di dichiarare la propria sconfitta e di spogliarsi completamente degli abiti dietro ai quali i sono celate le nostre iniquità, pensando che potessero essere le nostre armi vincenti. Gettare in faccia al mondo la nostra sconfitta significa dimostrare che abbiamo dentro di noi la forza per riemergere, che non siamo poi così fragili.
Dante e Manzoni hanno sperimentato la disperazione e nella disperazione hanno riacceso il colore della vita, la luce per uscire allo scoperto, per mettersi in discussione, per capire l’origine dell’errore e le cause che lo hanno determinato, per dare un nuovo senso alla loro esistenza. Dalla coscienza dell’errore e dal suo superamento nasce la grandezza del messaggio di questi due grandi personaggi della letteratura italiana. Sembra un cammino facile ma non lo è, perché richiede una grande capacità introspettiva e, soprattutto, la volontà di aprirsi completamente, di non lasciarsi contaminare da cedimenti o paure, dalla certezza che non siamo soli a compiere il tragitto che ci separa dalla salvezza.
Dante e Manzoni, seppur con visioni di fede diverse, convergono sulla necessità di appoggiare la loro necessità interiore ad una entità che va oltre l’immanenza e che consente di riunire i due aspetti insoluti della natura umana, la materia e lo spirito, la ragione e la fede, il bisogno di umano e di divino che caratterizza la dimensione umana. Non è possibile risolvere tutto con la sola ragione, così come aveva fatto l’Illuminismo, eliminando quella tensione spirituale che conduce inevitabilmente al pensiero di Dio, alla necessità di credere che la materia sia soltanto la parte visibile del grande mistero della creazione. Manzoni riconosce il ruolo storico della ragione, ma è ben consapevole che la storia non sia tutta opera dell’uomo. Ogni volta che le sue creature rimangono imprigionate nel pensiero materiale, una strategia superiore dimostra che da soli diventa tutto più difficile. Il primo passo della liberazione è la coscienza del male, la necessità di indagarlo e di esorcizzarlo.
La società di oggi pecca di un eccesso di orgoglio, pensa di poter tutto da sola, crede di non aver bisogno di niente e di nessuno, così facendo denuncia la sua fragilità e la sua incapacità a risvegliarsi. Rivedersi, riconoscersi, rivalutarsi, riproporsi, sono passaggi importanti per ritrovare il filo conduttore della nostra identità, fuori dagli schemi di una predicazione sempre più incapace di essere se stessa, di dire quello che pensa realmente, creando le premesse per una irriverente confusione di idee.
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