Il convegno di Firenze sull’umanesimo cristiano è bene integrato da una mostra di arte, perché tra le religioni monoteistiche il cristianesimo si esprime nella rappresentazione figurativa del divino, mentre l’ebraismo e l’ islamismo ammettono un’arte solo decorativa. Il cristianesimo è la religione di un Dio che prende un corpo umano in Maria e nella storia la rappresentazione di questo evento si è sempre manifestata fin dall’età delle catacombe, esplodendo con l’arte bizantina o poi con il romanico ed il gotico, incominciando ad alterarsi con il rinascimento, e dopo il recupero barocco si è smarrita a causa dell’Illuminismo ed anche per l’incomprensione delle moderne forme espressive da parte della Chiesa.
La mostra Divina bellezza, tra Van Gogh, Chagall e Fontana, che a Firenze espone una selezione di opere riguardanti temi come la vita di Maria. la vita di Cristo, la Chiesa, la preghiera documenta la rinascita del sacro nell’arte dopo secoli di incomprensione. La sezione centrale dedicata a Gino Severini con il saggio di Mirella Branca Il percorso di Gino Severini, pittore murale del sacro, sulle tracce del carteggio con Maritain, è la chiave di lettura di questa operazione culturale. Infatti è stato proprio Jacques Maritain con Arte e scolastica (1920) a porre le basi di un’estetica cristianamente impegnata, riconoscendo insieme l’autonomia dell’arte e la responsabilità dell’artista, ed è stato Severini a fare conoscere quest’opera in Italia a Carrà, Garbari, Soffici, Papini, Ungaretti.
La mostra presenta opere di artisti italiani e stranieri, di tutte le tendenze, dal simbolismo al neo-classicismo, dal cubismo all’espressionismo, tra le quali figurano una Pietà o Deposizione (1889) di Van Gogh e una Crocifissione (1938) di Marc Chagall. La prima è molto celebre, anche se è un d’après da un’opera di Eugenio Delacroix, perché il volto di Gesù rassomiglia al volto di Maria, anche nel colore rosso dei capelli. La seconda è interessante per un commento dal vivo di Raïssa Maritain: “Chagall ha dipinto per la prima volta il Cristo nel 1938, quando l’antisemitismo faceva già incrudelire in Germania la sua atroce persecuzione, preludio della guerra inespiabile.
Quando Chagall ci mostrò per la prima volta quel quadro, lo fece con una sorta di solennità ben rara in lui e con un sentimento profondo dell’importanza dell’opera. Questo quadro e la sua bellezza sono ben conosciuti. Il Cristo è li disteso sul mondo perduto, come il cuore in cui si concentra tutto il dolore umano. Attorno a lui tutto è fuoco e fiamme, e fuga disperata di sventurati, che non sanno dove fuggire. Nello stesso cielo, al di sopra del Cristo, degli uomini si lamentano sul crocifisso e sugli ebrei. La compassione del pittore unisce la Passione di Cristo a quella del popolo eletto. L’Antico Testamento è presente alle soglie del Nuovo con il simbolico candeliere, che brucia ai piedi della Croce con l’inestinguibile fiamma della verità, della fede, della speranza.
Nei quadri di Chagall dov’è presente la figura di Cristo, l’Antico Testamento è presente per mezzo del simbolo del candeliere acceso. Il numero delle braccia è variabile, ma sempre questa piccola luce è presente, come per ricordarci che Dio ha illuminato Israele prima della venuta di Cristo, affinché riconoscesse il suo Messia alla sua venuta. Forse senza pensarci, ma con un istinto molto sicuro, Chagall ha così mostrato in ciascuno dei suoi quadri cristiani l’unione indissolubile dei due Testamenti. Il Vecchio che annuncia il Nuovo ed il Nuovo che compie il Vecchio”. Questo quadro non potrebbe trovare posto in una Chiesa, non è stato pensato e immaginato in funzione liturgica, ma questa mostra di Firenze non è tanto una mostra di arte sacra, quanto una mostra sulla religiosità dell’arte.
In catalogo il presidente della Fondazione di Palazzo Strozzi scrive “La presenza di artisti come Munch, di formazione protestante, e Chagall, di religione ebraica, consente di affrontare la “Bellezza divina” attraverso i grandi temi che da sempre animano la religiosità, non solo del mondo cattolico, mentre espressioni artistiche che hanno creato scandalo, come la Madonna di Munch o la Crocifissione di Guttuso, sono affiancate ad altre poste nel solco tradizionale, come l’Angelus di Millet, capace di incarnare nell’immaginario collettivo l’idea stessa di preghiera”.
I curatori nella ricerca della religiosità dell’arte si sono spinti troppo avanti, perché non si può fare passare per arte religiosa un nudo femminile di Munch: artista che ha opere di intensa religiosità, ma che con questa “Madonna”, non voleva certo fare arte religiosa, anche se, quando i nazisti sequestrano le sue opere come “arte degenerata”, annota nel diario “la gente comprenderà che vi è qualcosa di sacro e si toglierà il cappello come fosse in chiesa”. Probabilmente, Munch si riferiva alla religiosità dell’arte, perché la bellezza è sempre una ricerca dell’Assoluto, ed in un museo non si tiene il cappello in testa, ma non all’arte religiosa, che riguarda soggetti di specifico argomento religioso. Ma è una Madonna della pace di Tullio Garbari (1927), un artista trentino, il centro di riferimento della sezione dedicata a Maria. Un opera che così viene presentata “In quest’opera convivono il topos della Maternità sacra seduta sui rami di un albero, quasi una sorta di omaggio al maestro dell’epica contadina, Giovanni Segantini, qui evocato attraverso il chiaro riferimento a L’albero della vita, il maestoso dipinto che Garbari poteva vedere dal vivo alla Galleria d’arte moderna di Milano, accanto a un rinnovato sentimento di semplicità, ben presente nella pittura di Rousseau il Doganiere”.
Anche nella scultura in marmo di Adolfo Wildt Maria da luce ai pargoli (1918), tra neo-gotico e simbolismo, è presente il motivo dell’albero della vita che risale alla Leggenda Aurea, rappresentata ad Arezzo nel ciclo di affreschi di Piero della Francesca, secondo la quale alla morte di Adamo dal suo corpo nasce un albero il cui legno, conservato da Salomone, viene utilizzato per costruire la Croce di Cristo. Wildt scolpisce questo albero come nascente dal grembo di Maria, sui suoi sette rami, che rappresentano le virtù, sono al riparo tre bambini. Cristo è il vero albero della vita e Maria raccoglie sotto il suo manto tutti gli uomini.
Al linearismo di Wildt si contrappongono le potenti volumetrie in bronzo di Arturo Martini, presente in mostra con la sua opera più famosa Il figliol prodigo (1927), sintesi del messaggio evangelico che si riassume nella misericordia. Il padre avvolto nel suo mantello, accoglie il figlio seminudo, che, pentito, ritorna a casa, gli sguardi si incrociano. La forte stretta tra le braccia delle due figure di eguale grandezza e la monumentalità, la mano del padre che si posa sulla spalla del figlio, rappresentano plasticamente un’incontro che va oltre il perdono, e manifesta una relazione di amicizia.
Una scultura di Fausto Melotti, che rappresenta l’incontro dei due discepoli ad Emmaus con Gesù, ci introduce nelle più recenti manifestazioni della creazione artistica, che la mostra fin dal titolo puntualizza in Lucio Fontana di cui sono presenti una Crocifissione (1951) e tre pannelli della sua Via Crucis (1955). L’arte cristiana non ha un suo stile proprio, ma si manifesta con il linguaggio di ogni tempo e anche l’astrattismo e l’informale possono affrontare tematiche religiose. Nella rappresentazione di Melotti (1923) non c’è una narrazione dell’episodio, il tavolo è ribaltato, le tre figure immobili sono statue isolate, lo sguardo come nel vuoto, immerso in un al di là che deve avvenire. Per comprendere quest’opera di Melotti bisognerebbe leggere il suo libro L’immortalità dell’arte nel quale l’artista racconta come ogni opera d’arte è un insieme di poesia, plasticità e armonia musicale.
La sezione conclusiva del percorso museale è dedicata alla Preghiera che è l’espressione fondamentale di ogni religione, come atto di adorazione dell’Assoluto, dove accanto al famoso L’Angelus di François Millet (1859) che è diventata una icona per questo soggetto troviamo la bianca scultura di una fanciulla ne La preghiera del mattino di Francesco Vela (1846) con il suo forte realismo e, quasi in contrapposizione, una coloratissima donna in preghiera, in un mare di fiori, dipinta su fustagno (1896) che bene rappresenta il realismo magico di Felice Casorati pur ispirandosi a Gustav Klimt nei modi espressivi.
Questa di Firenze 2015 è una mostra che segna uno snodo nella storia dell’arte in Italia a cui si accompagna un catalogo, edito dalle Edizioni Marsilio di Venezia, con una documentazione molto più estesa delle quasi cento opere esposte e numerosi saggi, che dovrebbe svilupparsi nei prossimi anni, integrando i dati raccolti.
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