Edith Stein ho aperto l’esame di alcune figure avvincenti, esemplari e luminose che, con la loro vita e il loro martirio, hanno illustrato l’eccezionalità e insieme la normalità del bene di contro alle molteplici forme di banalità del male ‒ l’una non meno mostruosa dell’altra ‒, che hanno afflitto la tragica storia del primo ‘900. Ora è il turno di Pavel Florenskij (1881-1937), accomunato alla Stein da una sorta di santità universale, apprezzabile anche dai laici, la stessa che vale per Gandhi o Mandela, per Primo Levi o Vasilij Grossman, ma sorretta da una santità spirituale d’impronta cristiana che completeremo parlando del protestante Dietrich Bonhoeffer.
Il teologo Sergej Bulgakov, uno dei più intimi amici di Florenskij, lo definì «il Leonardo russo» per la poliedricità, la versatilità e l’intima compiutezza del suo genio. Oggi il filosofo della religione e il martire mettono in ombra lo scienziato e il filosofo a tutto tondo. Fu un grande matematico, un fisico, un chimico, un ingegnere elettrotecnico, un appassionato di scienze naturali, un epistemologo, un teorico dell’arte, un filosofo del linguaggio, un esperto di iconologia e semiotica e uno studioso dei classici della letteratura universale. Fu pope della Chiesa ortodossa. Fu un fiero oppositore del totalitarismo comunista fin dal 1917; perseguitato prima e poi recluso nel lager delle isole Solovki nel mar Bianco, morì fucilato. E fu marito, padre e amico esemplare, come raramente accade tra le persone d’alto ingegno, troppo assorbite da un lavoro intellettuale che, a maggior ragione se tanto esteso da potersi definire enciclopedico, esige un’abnegazione assoluta, una concentrazione che lascia poco spazio agli affetti e alla quotidianità della vita.
Quel che colpisce di più penetrando nella biografia e nella personalità di padre Pavel è che in lui «tutto si tiene». «Che cosa ho fatto io per tutta la vita?», scrive dal gulag al figlio Kirill nel febbraio 1937. «Ho contemplato il mondo come un insieme, come un quadro e una realtà unica, ma a ogni istante dato, o più precisamente in ogni fase della mia vita, da un determinato punto di vista. Le sue angolature mutavano, tuttavia l’una non annullava l’altra, ma la arricchiva, cambiando; è qui la ragione della continua dialettica del pensiero insieme al costante orientamento di guardare il mondo come un unico insieme». Nel commemorarlo Bulgakov disse di lui: «Padre Pavel non era solo un fenomeno di genialità, ma anche un’opera d’arte. L’attuale opera di padre Pavel non sono più i libri da lui scritti, le sue idee e parole, ma egli stesso, la sua vita».
Le possibilità di indagare quell’opera d’arte che fu la vita di Florenskij sono infinite. Tra tutte vi propongo il suo sforzo, umile e insieme eroico, di contribuire alla formazione dei figli, rivolgendosi direttamente a loro, pur nella distanza, al limite dell’incomunicabilità, che corre tra l’universo concentrazionario e la famiglia lontana. Provate a immaginare un uomo di 54 anni che per sette giorni su sette di ogni settimana è costretto ad alzarsi alle quattro del mattino, che dalle cinque alle otto di sera, con solo un’ora di pausa, è costretto ai lavori forzati, che non è mai solo, che può scrivere un numero limitato di lettere e di fogli per lettera solo quando glielo consentono le autorità del lager, che lo fa sotto l’occhiuta sorveglianza dei censori, che è esposto alla malnutrizione, al freddo, alle malattie, all’abbrutimento degli altri carcerati e al sadismo dei persecutori, e che nondimeno spende le poche ore libere studiando e scrivendo come può, con libri e carta che ha faticato per avere. Provate a pensare «se questo è un uomo». D’acchito rispondereste di no; e invece sì, si sforza di restarlo e ci riesce. In lui riconosciamo la forza di un animo colmo di dignità e di cura verso gli altri. Avrebbe potuto a un certo momento lasciare gli orrori della Russia sovietica per insegnare a Parigi: non lo fece per restare vicino al popolo russo sofferente anziché curarsi della propria libertà e della carriera scientifica, con i redditi e la gloria che gli avrebbero portato.
Siamo nel novembre 1933, a sei mesi dall’arresto. La figlia Ol’ga, quindicenne, ha confidato a Florenskij i suoi insuccessi a scuola. Dopo averla incoraggiata, la invita ad apprezzare il valore di quelle conoscenze non finalizzate a una professione di cui non coglie la necessità. Vi è una grande attualità in queste parole, in un’epoca in cui la «buona scuola» viene spacciata come quella «utile».
«Studia con tranquillità, momento per momento, ciò che ti è accessibile; cresci, completa il tuo sviluppo e sii sicura che tutto quello che accumulerai con il tuo lavoro oggi, che sei giovane, un giorno ti servirà, anzi, succederà che ti occorrerà proprio questo sapere che ora sembra casuale… Per prima cosa bisogna acquisire certe nozioni che sono necessarie indipendentemente dal mestiere che farai in seguito: lingue, letteratura, matematica, fisica e scienze naturali, disegno (almeno un po’), anche pittura e musica. Queste cose sono indispensabili in qualunque situazione di vita e qualsiasi attività si svolga. Impara ad esporre i pensieri, i tuoi e quelli degli altri, impara a descrivere; acquista l’abitudine a un atteggiamento attento verso la parola, lo stile, la costruzione». «Tieni conto che non è bene accedere ad alcuna scienza senza un bagaglio acquisito precedentemente: ciò costringe a trascinare una zavorra morta e nociva e gli studenti, non potendola digerire subito, rimangono per sempre con le teste ingombre».
A questi inviti generali seguono dei suggerimenti per alcuni ambiti di studio. È bene apprendere due lingue straniere direttamente sui classici, leggendoli ad alta voce, in modo che le lingue «siano per te un suono vivo e non solo segni sulla carta». «Per la matematica, cerca non solo di ricordare semplicemente cosa e come fare, ma anche di capirlo e di apprenderlo come si apprende un pezzo musicale. La matematica non deve essere nella mente come un peso portato dall’esterno, ma come un’abitudine del pensiero: bisogna imparare a vedere i rapporti geometrici in tutta la realtà e a individuare le formule in tutti i fenomeni. Chi è capace di rispondere all’esame e di risolvere i compiti, ma dimentica il pensiero matematico quando non si parla direttamente di matematica, non ha appreso la matematica».
Appassionata di botanica, Ol’ga gli ha chiesto quanto debba e possa studiarla. «Nei limiti del tempo e delle possibilità, sforzati se non di studiare, almeno di prepararti a tali studi; guarda più spesso le illustrazioni nei testi di botanica, confrontando le pagine disegnate con quelle vere, cerca di comprendere lo stile delle specie, quell’unità artistica e biologica che sta alla loro base. Devi infine a poco a poco accumulare quanti più nomi di piante, ma in modo che non siano nomi vuoti, ma salvadanai in cui si raccoglieranno le informazioni le informazioni sulla vita, sulle proprietà e sull’utilità delle piante contraddistinte da questi nomi. Quanto più ricche saranno le tue nozioni, anche disordinate, sulle singole piante, tanto più facili e interessanti saranno in futuro i tuoi studi di botanica».
In un’altra parte della lettera, Florenskij affida al primogenito alcune raccomandazioni perché segua i fratelli minori nei loro studi scientifici e artistici. «Fa’ in modo che i piccoli acquisiscano nozioni e abitudine al lavoro; non mi riferisco agli studi, ma a piccole conversazioni, alla partecipazione al lavoro: quello di analizzare i libri, di guardare le illustrazioni, di esaminare le collezioni. Ogni tanto mostra loro minerali, rocce, materiali, carte geografiche. Non devi mostrarne molti in una volta sola. Se vedono uno o due oggetti, uno o due quadri, sarà sufficiente; ma bisogna che si faccia qualche osservazione relativa a ciò che si è visto: allora l’oggetto si riempirà di contenuto».
A queste righe, apparentemente scontate, va associata un’esortazione ai figli vergata nel suo primo testamento, scritto immediatamente a ridosso dell’Ottobre 1917: «Non fate le cose in maniera confusa, non fate nulla in modo approssimativo, senza persuasione, senza provare gusto per quello che state facendo. Ricordate che nell’approssimazione si può perdere la propria vita!».
Cogliere la diversità senza smarrire l’insieme; convertire l’estensione in profondità e viceversa; discendere e ascendere verso il nucleo originario, che per Florenskij è la trinità di Dio; cogliere il senso del sapere e delle singole sue articolazioni, perché ogni conoscenza possa prendere valore: questo l’insegnamento di Pavel, doppiamente padre, ai figli, trasmesso con serenità in circostanze estreme. Perché non perdano, anzi guadagnino la propria vita.
Ol’ga diventerà una valente botanica.
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