La Chiesa varesina aperta, solidale, essenziale svolge un ruolo di primo piano nella costruzione della città. Un impegno condiviso e proteso, potremmo dire con le parole di Giuseppe Lazzati, a considerare l’uomo “come colui dal quale la città prende vita e verso il quale la città è volta come a proprio fine” e a rendere i luoghi abituali del vivere sempre più inclusivi, socialmente costruttivi, ospitali e a misura di tutti.
Varese ha respirato l’aria buona e profetica di una figura come quella del Cardinale Martini, che fu Arcivescovo della nostra Diocesi dalla fine degli anni Settanta per oltre due decenni: l’apertura ai bisogni della contemporaneità, lo stile pastorale nel cercare la verità attraverso la lettura diretta del testo biblico nelle “Scuole della Parola”, il confronto dialogico con il mondo laico negli incontri della “Cattedra dei non credenti”, l’attenzione sensibilmente concreta delle Scuole di formazione all’impegno sociale e politico, la dimensione del “farsi prossimo”, il richiamo forte ad avere a cuore la sorte dei poveri, considerandoli come amici, anzi come padroni”, la valorizzazione del senso di responsabilità etica del cristiano nelle questioni di carattere economico, produttivo, ambientale ne hanno fatto un riferimento per le comunità cristiane locali.
Il nostro essere città molto deve a una Chiesa capace di misurarsi con le esigenze dei tempi e i bisogni emergenti di famiglie e persone. Religiosi e laici hanno infatti accompagnato nel tempo la vita delle parrocchie con una presenza capace di aggregare e consolidare rapporti: credo non vi sia rione in città che non abbia memoria, più o meno recente, o esperienza di “testimoni” ai quali riannodare la forza del proprio stare assieme, sentendosi comunità, e ai quali riconoscere essenzialità del vivere e sguardo costantemente proiettato in avanti e verso chi ha bisogno. Il nostro essere città molto deve allo stile di apertura, dialogo, collaborazione e condivisione che la Chiesa varesina ha saputo consolidare nei confronti delle altre religioni e delle diverse realtà sociali di matrice laica.
Il nostro essere città molto deve alle esperienze di una Chiesa locale attenta ai valori del cooperativismo sociale di ispirazione cattolica, che ha avuto culla sul territorio offrendo risposte concrete ai bisogni nel mondo del lavoro. Il nostro essere città molto deve alla lunga tradizione dell’accoglienza e dell’integrazione degli immigrati, che, ormai quasi trent’anni fa, ha avuto il proprio naturale luogo di realizzazione proprio in alcune parrocchie, dove si sono messe in campo tutte le risorse per ospitare i primi profughi giunti in città. Il nostro essere città molto deve al senso di partecipazione diretta e responsabile alla vita politica che la Chiesa locale ha interpretato come propensione costante e proficua alla ricerca del bene comune nelle questioni di carattere sociale, imprenditoriale ed ambientale.
Il nostro essere città molto deve alla tradizione ambrosiana dell’istituto degli oratori, luoghi di formazione ed educazione dei giovani, di incontro ed esperienza di socialità. La figura carismatica di Papa Francesco interroga oggi le coscienze di tutti attorno a temi che rimandano al bisogno di essenzialità della vita e delle scelte quotidiane, personali e collettive. Richiama ed indirizza l’intelligenza dell’uomo e la spiritualità del credente a una radicalità dell’insegnamento cristiano, praticata con la testimonianza: valori dinanzi ai quali la stessa comunità civile non può restare sonnacchiosa e indifferente. Perché costitutivi di ogni realtà che cerchi il bene di tutti, radicati nella nostra storia e nel sistema di relazioni sociali intessuti nel tempo, cifra del bisogno di costruire il futuro.
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