I giorni non sono tutti uguali, i mesi hanno climi, significati e paesaggi diversi. È così certamente per assecondare i ritmi vitali della natura che appunto è viva e, misteriosamente, agisce, muta, si trasforma. Sì, la natura vive misteriosamente: aiutiamoci a conservare questo stupore come di fronte a un mistero anche se ne conosciamo scientificamente le leggi e i motivi: il tempo non è nostro e la vita non ci obbedisce, ma ci è preparata e ci attende.
È così perché anche l’agire, il mutare, la trasformazione della nostra stessa vita possa accogliere un significato, un senso che ci trascende, ci compie e ci mette in cammino. La Chiesa, con la sua liturgia, ha fatto proprio il ritmo della natura e si è accorta della sinfonia che il creato compone con il ritmo della storia della salvezza. È inverno e la natura riposa nel gelo attendendo che il sole riprenda forza e calore… ed è il tempo dell’attesa della venuta del Salvatore, il “Sole vero” che illumina ogni cuore. Verrà la primavera, quando la natura che sembrava morta, improvvisamente rifiorirà annunciando così che Colui che “doveva patire” e subire la morte, vive ed in ogni dove, in ogni angolo, in ogni esistenza, porta i suoi frutti…
Ed ora è tempo di attesa, nel freddo e nelle corte giornate d’inverno. Un’attesa che non ha nulla di passivo, anzi mette in movimento, tanto è vero che è chiamata con il participio di un verbo di moto: questa attesa si chiama “Avvento”! C’è una venuta che ci apre alla ricerca e noi ci scopriamo, ora e sempre, “persone che vivono in attesa di Cristo, persone la cui vita non è illogica e assurda, ma ha un fine ben preciso verso cui tendere e verso cui camminare” (cfr. Navoni, L’anno liturgico ambrosiano).
La natura, allora, batte il tempo anche a noi ed ora ci fa cantare con un ritmo lento e dolce: lente e dolci sono le antifone di questo tempo di Avvento, ricche di semitoni e di sobri melismi; i semitoni con il loro vivere di una tensione verso il compimento, ci fanno pensare a qualcosa che manca e i melismi ci fanno percorrere scale di note alla sua ricerca. Un ritmo lento per guardare la nostra esistenza con i suoi angoli freddi e bui, desiderosi di nuova luce, di nuovo calore, e con i suoi alberi sempreverdi che in ogni tempo ci mostrano la bellezza della vita indomita anche nel rigore delle prove e delle preoccupazioni; un ritmo dolce che insinua la fiduciosa certezza del nuovo giorno che verrà.
Attendiamo dunque, ma non da soli e non inermi. La liturgia dell’Avvento ci pone accanto in modo tutto speciale Maria, la madre del Redentore. Come Lei, allora, attendiamo e nutriamo l’Atteso di noi stessi… nutriamo con la nostra speranza Colui che deve venire, una concreta speranza che non si accontenti di augurare “buon Natale” quasi che tutto fosse il passare una piacevole giornata con parenti e amici; una concreta speranza di salvezza, sì, salvezza e ciascuno certo sa cosa questo significa per sé, per i propri cari, per questo mondo e si metterà in cammino con fiducia. Nutriamo poi Colui che sta per venire con le nostre domande… chissà quante domande aveva Maria. Forse solo una donna incinta che parla silenziosamente con il proprio bimbo può immaginarlo… domande a questa creatura tanto intima a noi stessi da far parte di noi, da respirare con noi, ma anche altra da noi che mostrandoci l’alterità ci insegna l’amore e ci apre al futuro… chi sarai mai? E chi sarò io per te e grazie a te? Nutriamo ancora Colui che attendiamo con il nostro ascolto: l’attesa è un lasciar spazio all’altro in noi, nella nostra quotidiana esistenza, nel nostro cuore che custodisce il senso della nostra vita; un lasciar spazio all’altro proprio come l’ascolto che non sa, tace e gioisce di una ricchezza che gli è donata nella gratuità di un incontro, proprio come Maria che accolse un annuncio di gioia e gli diede carne. Nutriamo l’atteso delle genti con la nostra povertà, con la nostra miseria, con i nostri bisogni: Lui viene a condividere proprio tutto questo, Lui viene e gioisce di quel poco che possiamo offrirgli – del poco che siamo noi – e lo fa suo – ci fa suoi – per renderci come Lui.
Speranza, domande, ascolto, povertà inverno e tempo di silenzio… una madre che si prepara a partorire… tutto questo è avvolto e preceduto dalla misericordia: “misericordia è l’atto unico e supremo con il quale Dio ci viene incontro” (Francesco, Misericordiae vultus, n. 2), misericordia è l’altro nome dell’Avvento. Mettiamoci in cammino, desideriamo e cerchiamo, scopriremo altri passi che ci hanno preceduto, un desiderio che ha creato il mondo, una ricerca che è giunta fino negli angoli più oscuri, poveri e sporchi per abbracciarci. Scopriremo il volto della misericordia, il piccolo Gesù, da nutrire con la nostra speranza di salvezza, con le nostre domande, con il nostro stupito ascolto, con l’offerta della nostra povertà. Questo è il tempo della misericordia: la domanda il nostro cuore, la domanda il nostro mondo, ce la offre Dio che “non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita” (MV, 24).
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