È un ritorno alle origini il convegno che riunisce la chiesa di Dio italiana a Firenze. Rappresentanti di associazioni, movimenti, laici rappresentanti tutte le diocesi, presbiteri, religiosi/e, vescovi si troveranno assieme per riflettere sul tema “In Gesù Cristo, il nuovo umanesimo” e per dare indicazioni pastorali che dovranno guidare la chiesa italiana nel prossimo decennio.
Sono passati quasi quaranta anni dal primo convegno di Roma (1976) durante il quale i cattolici italiani manifestarono le loro idee e formularono proposte concrete per realizzare il tema del convegno “Evangelizzazione e promozione umana”. Era trascorso poco più di un decennio dalla conclusione del Concilio e chi scrive ricorda l’aria fresca che si respirava. Con franchezza si fece opera di discernimento dei problemi, delle situazioni critiche, delle urgenze per verificarle alla luce del Vangelo, con l’aiuto delle figure più rappresentative del laicato e dell’episcopato. Si smascherarono allora gli “idoli” che troppo facilmente avevano sedotto i cattolici italiani: la smania delle opere, il desiderio di conquista dei “lontani”, la logica perversa del vuoto attivismo, il successo delle folle che riempivano le piazze, la fine del collateralismo con il partito che allora intruppava i cattolici, la “scelta religiosa”. Si preferi’ fare la “scelta per gli ultimi”, si rivolse lo sguardo all’uomo, alle sue ansie, alle sue sofferenze, alle sue ferite e povertà. Fu in quella sede che si diede una prospettiva più organica alle Caritas e un aspetto più omogeneo al volontariato.
Ecco il filo rosso che lega Roma con Firenze: rimettere al centro l’uomo per arginare la barbarie dilagante che sembra non trovare più ostacoli, riaffermando contemporaneamente che solo la fede in Gesù potrà costruire l’incontro e il confronto con gli altri senza cadere in atteggiamenti di chiusura preconcetta e di rifiuto, se non d’intollerenza e di rigetto,
verso gli indifferenti, gli agnostici, i non credenti.
C’è un altro legame che unisce il primo convegno di Roma con quello che si aprirà a Firenze: il senso di una chiesa che non si arrocca in se stessa per difendere privilegi,la morale e la fede con le armi della condanna, ma preferendo “la medicina della misericordia”, come diceva Giovanni XXIII, con una autentica vita interiore, attraverso l’impegno nelle vicende umane fuggendo il pericolo della mondanizzazione, e con la carità, che si fa servizio.
Lo dimostrano i cinque verbi che fanno da sintesi alla corposa e significativa traccia preparata per la discussione dei convegnisti e che sono tratti dalla “Evangelii gaudium” di papa Francesco:”uscire”, senza paura di contaminarsi e senza timore del diverso, per camminare con tutti gli uomini sulle strade del mondo, “annunciare” senza indugio e repulsioni la gioia della “buona novella”, “abitare”, cioè vivere in luoghi stabili, come la famiglia e la parrocchia, in cui stabilire rapporti cordiali di amicizia, pronti ad attraversare la vita sulla strada, in posti di frontiera, “educare”, cioè risvegliare la scintilla di bene che c’è in ogni uomo e “trasfigurare”, cioè saper contemplare la bellezza della grazia, la sola capace di trasformare le persone e le situazioni di vita.
A Loreto (1985) monsignor Loris Capovilla, allora vescovo di questa piccola diocesi, accolse con queste parole i convegnisti riuniti per riflettere sul tema “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”: “Non siete qui per schiacciare, ma per salvare, non per trascinare, ma per convincere, non per guadagnare, ma per pagare”. I convegnisti, su pressione di coloro che facevano parte dei movimenti integralisti che si ergevano paladini della cristianità, preferirono dettare,allora, una linea di conservazione. Al mite presidente della Cei di allora non restò che dire, al termine del convegno:”Siamo vittime della nostra solitudine. Finiamola con le nostre beghe ideologiche!”
Quando nel 1995 i cattolici si riunirono a Palermo, l’orologio della chiesa non era più sintonizzato con quello della storia. Era giunta la fine dell’impegno unitario dei cattolici in ambito politico. Essi dovevano testimoniare i valori cristiani all’interno del modello neo-liberista, obiettivamente in contrasto con la tradizione del cattolicesimo democratico, o all’interno del modello solidale, in continuità con il pensiero sociale cristiano e con il popolarismo cattolico. Nasceva un altro problema: riallacciare o meno il dialogo tra scienza e fede. I politici facevano gli occhi di triglia ai cattolici, invocando i “ principi non negoziabili”, nascevano gli “atei devoti”. Si scelse la strada di un autentico conflitto ideologico anziché collaborare per ricercare la verità collegata all’amore verso gli uomini. Per arginare il fenomeno della secolarizzazione s’inventò un “progetto culturale” che nelle intenzioni doveva preparare una nuova stagione per l’impegno dei cattolici in politica, ma che costò solo spreco di energie e di risorse.
Dieci anni più tardi, a Verona, riuniti per essere “testimoni di Gesù Cristo, speranza del mondo” i cattolici italiani si presentarono quasi rassegnati, mortificati o compromessi dalle cattive frequentazioni. La presenza della Chiesa nella società era quasi interamente affidata ai vescovi. Il laicato era quasi sparito, scarseggiavano gli “obbedienti in piedi” e abbondavano i nuovi clericali, la cui azione era collaborativa, ma esecutiva, tranquilla, ma spenta. “Corresponsabilità, condivisione, comunione” furono le tre parole-chiave che risuonarono a Verona, ma a questo invito non seguì l’esperienza. I nuovi conformisti ancora oggi si limitano a fare da cassa di risonanza a decisioni prese altrove.
Che cosa succederà dopo Firenze? Noi ci auguriamo che i cattolici italiani serrino le fila non per far fronte al mondo, ma per ascoltarlo e entrare in dialogo con esso, che i pastori scelgano la pastorale fondata sull’Eucarestia e sull’ascolto della Parola piuttosto che sulla dottrina ricordando ciò che Agostino proclamava: “Unità nelle cose necessarie, libertà nelle dubbie, in tutto la carità”.
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