Fase preliminare delle primarie della coalizione tra Partito Democratico e Varese 2.0: per i candidati iscritti al PD scatta l’obbligo della raccolta preliminare del 20% di firme tra gli iscritti. Lo prevede l’articolo 18 dello Statuto nazionale, in puro stile veltroniano “non solo, ma anche“: le primarie sono rivolte all’esterno del partito, fuori dal recinto, nella prateria sconfinata dell’elettorato non tradizionale, per agganciarlo grazie alla fiducia personale verso il singolo candidato e la sua rete di relazioni e conoscenze; “ma anche” all’interno, verso gli iscritti, rispettandone le correnti e i relativi posizionamenti. Lo spirito delle primarie è di privilegiare i lontani, dagli indifferenti sino ai simpatizzanti; ma la lettera dello statuto vuol privilegiare “anche” i vicini, restare nel recinto degli iscritti e tollerarne i condizionamenti. Un’armonia degli opposti decisamente impraticabile, alla fine controproducente, che finisce per costringere i candidati potenziali a contendersi il recinto partitico, a spartirsi la “tortina” degli iscritti (a Varese: 240 circa) anziché cercare di farla lievitare sino ad espandersi a “tortona” degli elettori (a Varese: 70.000 circa). E che rischia di deformare la competizione sin dall’inizio: da corsa a partita di boxe.
Mi sono ritrovato all’improvviso in questo clima divisivo senza averlo preventivato. Avevo maturato da tempo l’intenzione di candidatura secondo lo spirito proprio delle primarie, accennato in vari articoli su RMFonline: mobilitazione tempestiva dell’elettorato, per allargare il consenso del centrosinistra alle fasce di cittadinanza anche meno propense, purché disposte ad un investimento fiduciario sulla mia persona, la mia storia e il mio programma. Nell’articolo su RMFonline del 18 settembre scorso, l’ultimo prima che la preparazione delle Primarie mi assorbisse totalmente, avevo delineato in senso generale le principali ragioni per chi volesse impegnarsi nella contesa elettorale e le principali idee programmatiche che un candidato sindaco dovrebbe perseguire: ovviamente, il primo a condividere quelle ragioni e giocarsi su quelle idee ero io stesso.
Idee impegnative: dalla cura della città sotto il profilo ambientale e infrastrutturale, con la revisione ambientalista del PGT e il privilegio per manutenzioni e decoro urbano rispetto alle grandi opere; sino alla tutela assoluta del verde e al risparmio energetico, all’impulso all’innovazione produttiva, al sostegno del commercio di vicinato, allo sviluppo dei servizi educativi culturali sociali con regia di sussidiarietà, alla promozione della partecipazione popolare e della cittadinanza attiva. Fino al cuore del problema istituzionale, quello della sovranità popolare varesina: la restituzione del potere di governo al Consiglio Comunale, con il ridimensionamento della Giunta a superdirigenza della “macchina” amministrativa, e il Sindaco come tramite e coordinatore, di dialogo e di servizio, per ridare democrazia alla città ed efficienza all’organizzazione comunale. Precondizione: rilancio del volontariato politico; conseguenza: taglio del 75% dei costi della politica a favore del verde e dei servizi sociali.
Con questi intenti contavo che, al di là della retorica, primarie aperte potessero essere la via per un dibattito e un coinvolgimento ampio della città, senza bilancini di potere interno al partito, e in questo spirito avevo preparato la candidatura fino agli strumenti pubblicitari conseguenti, puntando direttamente alla fase che avrebbe dovuto essere la prima: la raccolta delle 250 firme tra i cittadini, indipendentemente dall’iscrizione al PD, cui sarebbe seguita la campagna elettorale vera e propria. Ma ecco all’ultimo momento, a una settimana dalla scadenza, spuntare la comunicazione della segreteria cittadina PD che formalizza per i candidati PD la preselezione tra gli iscritti entro il 28 ottobre; solo chi la supera sarà ammesso alla raccolta delle 250 firme tra i cittadini, tra il 29 ottobre e il 12 novembre. Nonostante l’impegno, il poco tempo a disposizione non mi consente di raggiungere il 20% di firme, ossia 48: con 32 firme mi fermo al 15% circa, a 2/3 dalla meta. Rispetto ai candidati con una storia radicata nel partito, è praticamente impossibile farcela per l’ultimo arrivato come me, iscritto da un anno e mezzo solo dopo il pensionamento (finché lavoravo al Comune di Varese sarebbe stato scorretto iscrivermi, per lealtà istituzionale, e l’idea restava un fatto privato).
Mancandomi ancora 16 firme alla scadenza del 28 ottobre, chiedo che la regola statutaria sul 20% di firme di iscritti sia interpretata flessibilmente, considerando una fase unica la raccolta firme tra gli iscritti con la raccolta firme tra i cittadini, che scadrà il 12 novembre: delle 250 firme, 48 devono essere di iscritti al PD, me ne mancherebbero 17 che raccoglierei insieme a quelle dei cittadini, avendo due settimane di tempo in più. Richiesta bocciata dal Segretario cittadino.
Paradossalmente, tuttavia, è ammesso alla seconda fase, quella della raccolta di 250 firme tra i cittadini, un candidato che non ha rinnovato quest’anno la tessera PD e che non ha nemmeno tentato di raccogliere una firma tra gli iscritti, e che quindi si presenta come candidato civico. Insomma, essere iscritti al PD non conviene. Le Primarie, già bandiera del PD, finiscono per disincentivare all’iscrizione al PD, il massimo del successo per un partito che vuole rinnovarsi e rafforzarsi nella società.
Da parte mia è venuta meno una possibilità incisiva, in prima fila, per dare un contributo costruttivo al dibattito politico della città. Cercherò almeno di dare una mano al confronto politico di merito, non sugli schieramenti ma nel concreto dei problemi cittadini, mantenendo in vita il blog on line www.francescospatola.it, dove il programma è già stato pubblicato, anche con numerosi approfondimenti. E magari riprendendo la collaborazione con RMFonline, palestra di costruttiva libertà d’opinione come pochi altri strumenti di comunicazione.
Resta il fatto che essere iscritti al PD non può diventare un difetto. Era possibile un’altra soluzione, che armonizzasse partito e società civile? Bastava pensarci per tempo, con una diversa procedura. Come mi ha confermato l’esperienza di contatto vivo con le persone degli iscritti in questa convulsa settimana, l’area interna al partito è ancora una grande riserva ideale ed etico-affettiva, perché non coniugarla con le “praterie” esterne, in un’unica ricerca di comunicazione e consenso? La mia proposta di flessibilità interpretativa dello Statuto, con un’unica fase di raccolta firme tra iscritti e cittadini, andava in questa direzione di partito aperto, intercomunicante con la città, senza recinto. Miope non considerarla, bisognerà aspettarsi ed aspettare che cambi il segretario cittadino per avere qualcuno che ci veda bene, da vicino e da lontano?
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