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Cultura

VITA DI DOROTHY DAY

PIERO VIOTTO - 23/10/2015

 

Al Congresso degli Stati Uniti di America papa Francesco ha segnalato quattro figure significative: Abramo Lincoln un presidente dell’Unione; Martin Luther King un pastore protestante noto per la sua lotta alle discriminazioni razziali; Thomas Merton un monaco trappista impegnato nel dialogo interreligioso, e una umile donna, laica, Dorothy Day, che pochi conoscono ma che riassume nella sua esperienza personale la misericordia di Dio e la ricerca della giustizia con mezzi non violenti.

Dopo una vita inquieta e dissoluta, Dorothy Day si converte al cattolicesimo, ma non cessa di essere anarchica e pacifista, convinta che il mondo appartiene a Dio e tra gli uomini non debbono esserci padroni e divisioni territoriali. Più volte si trova in contrasto con la gerarchia cattolica degli Stati Uniti, a incominciare, nel 1936, a riguardo della guerra civile spagnola, perché rifiuta il franchismo. Ma il suo radicalismo non è quello individualistico dei radicali che promuove il relativismo morale, è il radicalismo del Vangelo e si ispira al personalismo comunitario di Mounier e di Maritain.

Dorothy Day (1897-1980) nasce in una famiglia protestante, legge i romanzi di Jack London attraverso i quali filtra il positivismo di Spencer e l’evoluzionismo di Darwin, grazie a una borsa di studio si diploma all’università dell’Illinois. Incomincia a lavorare per il giornale socialista “Le masse” e scrive articoli per altre riviste socialiste e comuniste, si ribella alla religione che considera un orpello decorativo della classe borghese “confortevolmente beata di fronte alle ingiustizie del mondo”.

Partecipa a manifestazioni pacifiste, subisce il pestaggio della polizia, finisce spesso in prigione. Scrive romanzi e commedie, vive per qualche tempo al Greenwich Village, il quartiere della cultura alternativa di New York dove incontra il commediografo Eugene O’Neill. Legge Fontamara di Ignazio Silone, intrattiene una corrispondenza con lo scrittore, osservando che i “cafoni” abruzzesi somigliano ai disoccupati americani.

Nel 1933 incontra Peter Maurin (1877-1949) un francese di famiglia contadina emigrato che lavora come operaio nelle acciaierie e nelle miniere. Insieme fondano il Catholic Worker Movement e un periodico con il medesimo nome che si diffonde rapidamente in tutta l’America. Insieme organizzano le Catholic Worker House, case di ospitalità per i poveri, i disoccupati, i senza tetto, che sono anche luoghi di studio e di cultura. Due percorsi diversi per una medesima missione.

Lei è una giornalista dalla vita inquieta, convive con un giovane biologo anarchico, ma attraverso la lettura dei romanzi di Huysmann si avvicina alla Chiesa. Lui viene dalla Francia, dove ha insegnato nelle scuole dei Fratelli delle Scuole cristiane, dove ha partecipato al movimento Sillon, che intendeva promuovere una politica secondo la dottrina sociale della Chiesa, e vuole impegnarsi nel servizio dei poveri. Day riconosce queste differenze: “Egli era francese, io americana. Aveva vent’anni più di me e tanta saggezza. Era un uomo e io una donna. Vedevamo le cose diversamente. Egli era un contadino, io ero cresciuta in città. Quando parlava dei lavoratori si riferiva a quelli dell’agricoltura, dell’edilizia, delle officine per le macchine agricole. Quando io parlavo dei lavoratori pensavo alle fabbriche, al proletariato, agli abitanti dei bassifondi e ai disoccupati”.

Lui riassume la sua filosofia nel motto “culto, cultura, e coltivazione“, perché la creazione è opera di Dio e tutti siamo fratelli; lei pensa alla obiezione di coscienza, agli scioperi, alla contestazione, al boicottaggio, sempre con metodi non violenti, che considera opere di misericordia spirituale. Eppure i due si intendono, lavorano insieme, animano gruppi di giovani lavoratori e studenti, organizzano ritiri spirituali, condividono la povertà con i più diseredati, fondano case di ospitalità in città e fattorie in campagna, per loro non può esserci rinnovamento sociale se non nella santità.

Peter Maurin raccoglie le sue riflessioni nel volume Per portare l’ordine sociale a Cristo, pubblicato postumo; Dorothy Day scrive una autobiografia L’undicesima vergine (1924) in cui racconta la sua giovinezza con confidenze, che poi la imbarazzano, tanto da andare a recuperare nelle librerie le copie invendute e ne scrive una seconda La lunga solitudine (1952) tradotta.

La filosofia che sostiene il loro lavoro di promozione sociale si può riassumere in questo principio: “Non basta essere per i poveri, occorre essere con loro”; si possono raggiungere i poveri solo condividendone la loro esistenza, soddisfacendo i loro bisogni. Le Case di ospitalità consistono in un edificio di diversi piani, quelli superiori sono destinati a dormitori per i senza tetto, con una stanza per gli abiti da distribuire ai poveri, in quelli intermedi è allestita una cucina per preparare i pasti, in quelli inferiori, che si affacciano sulla strada, si trovano la biblioteca, sale per la lettura e per assemblee. Dorothy Day si preoccupa anche dell’educazione intellettuale dei poveri ed invita professori e studenti alla sera.

Anche Maritain, di passaggio a New York, frequenta queste case e il suo biografo J. L., Barrè ricorda che la Dorothy “gli racconterà in una lettera, scritta una sera di Natale, la storia di un giovane, da poco uscito di prigione, che dopo avere aderito al ”Catholic Worker” per ammirazione verso Maritain ha cambiato il suo nome Jack in Jacques e si è messo a studiare filosofia”, Maritain in una lettera a Maurin scrive: “Al “Catholic Worker” mi è sembrato di avere ritrovato l’atmosfera della boutique di Pèguy, con tanta buona volontà e con tanto coraggio! È così con i mezzi poveri e un grande amore che si prepara ardentemente un futuro migliore… che in luogo di essere fondato su di una concezione materialistica del mondo, come nello Stato comunista e nello Stato capitalista, sarà polarizzato in relazione alla dignità spirituale della persona umana e sull’amore che le è dovuto”. (7 dicembre 1934).

 Maritain ritorna al “Catholic Worker” durante l’esilio al tempo del secondo conflitto, in un rapporto di amicizia con Dorothy Day, che quando muore Vera, sorella di Raïssa, gli scrive: “Voi avete significato così tanto per noi, ovunque in America. Ricordiamo la vostra dolce e grande sapienza, la luce che avete donato a molti, e non possiamo pensarvi oscurati dalla pena. Siate certi che un gran numero di persone pregheranno per voi, con profonda simpatia. La vita è mutata, non è tolta, ma l’assenza è lo stesso, dura. Il mio affetto per voi due” (21 gennaio 1960).

Il “Catholic Worker, promosso e animato da laici, viene apprezzato dalla Chiesa. Paolo VI nel 1977 incarica il cardinale Terence Cooke di recarsi ad Austin in Texax nella “Maryhouse” (la casa di Maria), una casa per le donne senza tetto dove Dorothy Day si era ritirata, per portarle i suoi auguri personali in occasione dell’ottantesimo compleanno. La conferenza episcopale americana nel 1983 con la lettera pastorale “The Challenge of Peace “ (La sfida della pace) riconosce l’obiezione di coscienza come legittima espressione di fede, citando anche san Tommaso (Summa Theologica, II-IIae q. 40).

Dorothy Day entra anche nella storia della letteratura. Il critico letterario Allen Tale e la scrittrice Caroline Gordon, ammirando le sue opere, si sono convertiti al cattolicesimo, e la Gordon descrive sulla sua esperienza sociale il romanzo “I malfattori” (1956).

Il “Catholic Worker Movement”, di cui Maurin era la mente e Day il cuore, conta oggi duecento case di accoglienza, e il periodico continua a essere pubblicato in inglese ed in spagnolo. Il nuovo responsabile Jim Forest, vecchio obiettore di coscienza, entrato nel movimento nel 1961, in un’intervista dichiara “Non ho mai conosciuto nessuno, nemmeno nei monasteri, che fosse un’anima di preghiera come Dorothy. Quando penso a lei la vedo inginocchio davanti all’altare…”.

Lascio la conclusione a Maritain che nel suo libro di ricordi “Riflessioni sull’America” (1958) scrive: “Ringraziamo Dio per le Case di ospitalità fondare da Dorothy Day. È un fatto che in ogni parte del mondo il regime industriale tende a fare dell’individuo non organizzato e non organizzabile un povero, cioè un assolutamente indigente, la vittima di una sorta di sacrificio umano offerto agli dei della civiltà. Ciò costituisce per il genere umano la estrema malattia sociale, da curare in ogni parte del mondo a forza di intelligenza e di generosità”.

Bibliografia
- G. Barra, Dorotea Day. L’ultima parola è l’amore, LDC, Torino 1958
- W. Miller, Dorothy Day L’anarchica di Dio, Jaca Book, Milano 1981
- Dorothy Day Una lunga solitudine. Autiobiografia Jaca Book, Milano 1983
- AA. VV. Con Dio e con i lavoratori. Antologia dagli scritti di Dorothy Day, a cura di R. Ellesbeg e di Edizioni Esperienze, Fossano 1993
- J. Forest, L’anarchica di Dio, Edizioni Paoline, Milano 1994
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