Chi ha conosciuto Vittorio Parisi, artista nato a Maccagno nel 1915 e cresciuto artisticamente tra Milano e Roma, poi rientrato nella sua piccola patria sulle rive del Verbano – era il 1984 – ricorda del personaggio la profonda cultura e la grande vivacità, e quella capacità di amabilmente comunicare che nasceva dalla curiositas di un uomo abituato a scendere al fondo delle cose e a capire i suoi simili.
Di fisico minuto, gli occhi chiari scintillanti, una fisicità fragile inversamente proporzionale alla volitiva energia, ha fatto della sua vita un esempio di tenacia professionale: la maggior opera dell’artista, a cento anni dalla nascita, è quel museo Parisi-Valle, da lui e dalla moglie Wanda Valle fortemente voluto, e dedicato all’arte contemporanea, costruito su progetto dell’architetto Maurizio Sacripanti. L’edificio ottenne nel 1992 il Premio Nazionale IN/ARCH quale complesso direzionale, culturale e di servizio. La felice architettura affacciata sull’acqua e realizzata a cavallo del torrente Giona, ai piedi della Valle Veddasca, aveva colpito la giuria del premio, che scrisse tra l’altro nella motivazione: ” L’organismo cementizio che si specchia e si raddoppia nel fiume, sospeso com’è tra acqua e aria, raggiunge in alcuni dettagli la naturalezza del creato, piegando l’artificio a una volontà di stare, comunque, entro la natura: le luci vi trasaliscono tra verde e azzurro raggiungendo momenti di rara suggestione”.
Prima che l’edificio arrivasse a completamento ci vollero un paio di decenni, ma alla fine la tenacia e lungimiranza di Vittorio Parisi ebbero soddisfazione. Oggi la struttura museale di Maccagno, a pochi chilometri dal confine svizzero, accoglie una collezione permanente di oltre duemila opere. Sono disegni, inchiostri, pastelli, oli, grafiche, sculture di artisti di fama nazionale e internazionale, di proprietà dello stesso Parisi e poi fatti oggetto di donazione alla Fondazione. Tra le più interessanti carte lo splendido “Studio per bagno turco” di Picasso, un inchiostro del 1921( l’artista gli regalerà anche una piccola chitarra costruita per la figlia Paloma), “Tema per la mediterraneità” di De Chirico( ’29-’30), una rara grafite con matite colorate, i due pastelli di Balla del 1930, “Espansione fiore” ed “Espansione profumo”, l’acquaforte “Il giudizio universale” di Salvatore Fiume del 1935, le litografie degli anni Cinquanta di Ettore Colla, la tempera acquarellata di Carlo Levi, le serigrafie di Morandini, Salvador Presta, Paolo Scirpa.
La sezione dedicata alla scultura comprende opere degli amici colleghi Ettore Colla, Giuseppe Capogrossi e Nicola Carrino e dello stesso Parisi, la cui produzione rappresenta il fil rouge attorno a cui ruota l’intera collezione.
Altri 400 e più pezzi della collezione sono antichi reperti di epoca romana, ritrovati nel territorio e collezionati dal padre di Vittorio: Maccagno fu infatti anche sede della zecca imperiale, come ha ricordato nei suoi scritti di storia locale un altro figlio di Maccagno, Leopoldo Giampaolo, storico di prestigio e delicato acquarellista cui è dedicata la via in cui sorge il museo.
Che sia il museo a omaggiare i cento anni dalla nascita di Parisi con un “grato festeggiamento”, come scrive Clara Castaldo, critico d’arte, è operazione giusta e doverosa. A farsene interprete il comune di Maccagno con Pino e Veddasca, guidato da Fabio Passera, che ha affidato alla stessa Castaldo la curatela della rassegna: una quarantina di opere, con diversi inediti, tra quelle dello stesso Parisi e dei colleghi collezionati, nonché documenti, testi dell’artista, fotografie e e altro ancora.
Parisi, sempre attento alle novità, sa cogliere, a partire dagli anni Trenta, a Milano, dove studia presso l’Umanitaria, quindi al Liceo artistico e all’Istituto Superiore d’arte, i primi fermenti dell’arte astratta. Conosce lì Lucio Fontana del cui studio si fa assiduo frequentatore, e intrattiene contatti anche con Carrà, Marini, Sironi, Soldati e De Chirico.
Trasferitosi in seguito a Roma, ottiene nel 1942 il diploma di regista presso il centro Sperimentale di Arti Visive, frequentato anche da Michelangelo Antonioni e partecipa alla IV Quadriennale del 1943.
Proprio grazie al diploma potrà insegnare nelle scuole di Roma e Velletri.
Gli anni della guerra segnano anche un arresto per diserzione di Parisi, con relativa condanna a morte. Si salva grazie all’intervento del poeta Trilussa. Nella Capitale stringe amicizia con Giacomo Balla, è tra i firmatari del “Fronte nuovo delle arti” e aderisce alla “Fondazione Origine”, cosa che gli permette di frequentare Ettore Colla, Alberto Burri e Giuseppe Capogrossi. Sono di questi anni mostre e premi importanti per le sue opere. Fondamentale nel ‘56 l’incontro a Parigi con Picasso, che gli apre nuove prospettive di ricerca.
A partire dagli anni Sessanta, lasciata la figurazione, si dedica definitivamente alla ricerca visuale, secondo i principi della geometria non euclidea nella bidimensione e tridimensione. E si applica soprattutto alla scultura e anche alla realizzazione di opere di design, che comportano l’uso di acciaio inox, alcune destinate a prestigiose sedi di istituti di credito francesi e statunitensi.
Le opere in mostra, spiega la curatrice “danno conto della vastità dei materiali impiegati da Giuseppe Vittorio Parisi per i propri lavori. Ma anche degli studi, delle riflessioni intellettuali, delle tangenze in molti casi delle ‘previsioni’ profetiche su quelli che sarebbero diventati i nuovi e rivoluzionari corsi delle arti visive. Così idealmente, oltre le opere selezionate per l’occasione, si possono intravedere significative tangenze e rimandi ai lavori di Lucio Fontana, Jean Fautrier, Alberto Burri, Robert Motherwell, Ellswort Kelly, Frank Stella, Barnett Newman. A me pare che il percorso artistico di Giuseppe Vittorio Parisi si presenti in consonanza con le esperienze artistiche a forte vocazione razionale, nate sotto il segno dell’astrazione geometrica sviluppatesi tra 1945 e 1969, destinate a ‘bussare fino alle porte’ della optical art. Tanti sono i richiami-talvolta solo accennati, altre volte più schietti e presenti- ai sentieri di ricerca di Max Bill, Johannes Itten, Josef Albers, e gli italiani Pietro Consagra, Atanasio Soldati, Mauro Reggiani, e Bruno Munari”
Il sogno di vedere concretizzato quel Centro per l’arte, carezzato anche assieme all’amico Giulio Carlo Argan, accompagnò l’artista per anni, dal 1979 al 1998, anno in cui il museo finalmente vide la luce.
Ancora oggi non sono molti i musei di arte contemporanea, tanto meno quelli che sanno inserirsi nel paesaggio prealpino con la leggerezza della creatura disegnata da Sacripanti e voluta come un figlio da Parisi.
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