Invitato a partecipare al convegno “Lo spirito nell’etere, i 25 anni di Radio Missione Francescana” ho parlato della programmazione musicale di Radio SuperVarese. Sono stati sostanzialmente tre i filoni musicali seguiti da Radio SuperVarese sull’onda di quella passione alla realtà e all’umano così ben testimoniata dal nostro grande amico Carlo Chiodi.
Il primo riguarda la musica rock. Devo dire che fa un certo effetto osservare come oggi nelle compilation dei miei figli pur ventenni figurino tra i primi posti ancora brani di Jimi Hendrix, dei Doors, dei Rolling Stones. Una osservazione che fa il paio con quella delle reunion che impazzano ormai da diversi anni: tornano a calcare i palchi europei (qualcuno in realtà non ha mai smesso) i Deep Purple, gli Eagles, gli Yes, Csn, Ac Dc, Kiss quasi che le lancette dell’orologio si fossero fermato a quarant’anni fa. A volte l’effetto è un po’ patetico. A volte l’energia è rimasta immutata. Come mai?
Negli anni settanta con il rock la riflessione sul pendolo dell’esistenza si trasferì dai libri di filosofia ai testi nervosi e penetranti delle canzoni. Ed il grido di ribellione dal blues degli afroamericani alle note dirompenti e un po’ sguaiate dei gruppi che facevano della loro musica un messaggio alternativo a tutto ciò che era definito “potere”. Era un inno alla libertà, comunque la si voglia definire. Un mondo in quegli anni ancora in gran parte sconosciuto e Caru’ a pochi chilometri di distanza da qui è stato un faro importante. Evidentemente anche oggi la richiesta di novità di vita e di un desiderio di significato per l’esistenza sono pressanti quanto allora: help il grido del rock ha attraversato immune pop, dance grunge indie. E per un giovane risulta semplice identificarsi in quel grido anche se la più facile libertà d’accesso al digitale e la democratizzazione informatica hanno allargato il campo su cui camminare (e ascoltare).
Il secondo filone è stato quello cantautoriale italiano. Anche qui: Venditti ha appena pubblicato il suo Tortuga, De Gregori conosce una nuova stagione e si diverte a duettare con Ligabue. Finardi è in tour da tutta l’estate. Guccini si veste da giallista. Baglioni e Morandi da capitani coraggiosi e fanno sold out dieci sere all’Olimpico di Roma. A De André e Dalla si dedicano master universitari.
Cosa animava la ricerca di quegli anni? Certamente il senso di un significato al vivere. La domanda di un destino compiuto. Di un amore che “per certi versi” non finisca mai. E se questo è passato per i testi dei tanti di allora: Lolli, Stefano Rosso, Bubbola, Bertoli (ma voglio ricordare qui a Varese anche Franchi Giorgetti e Talamo) tanto di guadagnato. C’è chi critica l’eccesso di proliferazione dei cantautori italiani degli anni settanta e imputa loro la mancanza in Italia di grandi gruppi prog rock (PFM, Banco e Area a parte) come invece è accaduto in Inghilterra o negli Stati Uniti. Quasi fossero stati un grande “tappo” alla creatività. Rimane il fatto che la loro produzione è ancora lì, vecchia e nuova. E per me non è stata una sorpresa incontrare una citazione di Guccini o Gaber anche nei testi degli esercizi spirituali di Comunione e Liberazione di quest’anno.
Terzo e ultimo filone è stato quello della musica popolare italiana e no. Sull’onda delle ricerche che l’allora casa editrice Jaca Book realizzava sull’identità etnica contrapposta al potere centrale e comunque testimone di una storia e di una religione millenaria, si trasmettevano i brani della Nuova Compagnia di Canto Popolare, di Eugenio Bennato, della Signora Stracciona ma anche, fuori dai confini italiani, di Alan Stivell per la musica bretone o dei Fairport Convention per quella inglese.
A proposito di quanto il tema fosse sentito ricordo un episodio accaduto nel ‘76 a Milano. Quando Radio SuperMilano, la sorella maggiore diciamo della nostra, “osò” organizzare un concerto proprio con Stivell, le frange più radicali della sinistra convinte che il tema dell’identità popolare contrapposta allo Stato centrale fosse esclusivamente di loro proprietà, attesero al casello di Milano il Tir del cantante, lo costrinsero a fare inversione verso la Francia e tanto per non farsi mancare nulla incendiarono poi la sede di una nostra cooperativa.
Dei tre questo filone forse oggi è il più esaurito. A meno che, con una piccola forzatura, vi si voglia arruolare Davide Van De Sfroos tanto caro al nostro amico Carlo.
A proposito di concerti credo che un merito che vada a riconosciuto a Radio SuperVarese sia stato proprio quello di portare in città alcuni importanti autori. Penso a Cockburn, Renbourn ma anche Enzo Iannacci. Furono eventi di successo ma soprattutto che dimostrarono quanto un’emittente privata, viva sia di quello che trasmette ma anche di quanto realizza fuori dalle quattro mura dello studio.
Tutto ciò senza nulla togliere ad altri generi come il jazz o la classica, presenti per altro nel palinsesto di Radio SuperVarese con ottimi programmi. Ma era solo il tentativo di descrivere quell’impeto iniziale. “Se sei testimone di quello che capita intorno a te – amava ripetere Carlo – c’è l’ attenzione delle persone. Magari non è un gran tema, ma in quel momento è la cosa che sta più a cuore a tutti”. Mi sembra una riflessione che ben si adatta anche alla musica.
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