“Sicuramente due mondi si contrappongono nell’odierno panorama, quello della solidarietà e per contro quello dell’individualismo egoistico o del populismo”: così scriveva Livio Ghiringhelli su queste pagine quindici giorni fa.
Non si può non concordare su questo giudizio. Nella civiltà occidentale, l’umanesimo ha preso questi due volti antinomici: da una parte l’individuo economico è diventato misura di ogni cosa, sorgente di ogni valore, fine di ogni azione. Dall’altra, l’umanesimo che si arricchisce nella relazione con gli altri, che applica agli altri quello che vorrebbe fosse fatto a se stesso, che crede non in un futuro di promesse, ma di possibilità e sa che il suo destino è collegato a quello degli altri.
Penso che Jacques Maritain, se vivesse ai nostri giorni, chiamerebbe il suo umanesimo non solo “integrale”, ma “planetario”. Infatti oggi la persona vive la sua integralità non solo nella solidarietà con tutti gli uomini della sua comunità, ma anche nella responsabilità, che suscita solidarietà, verso tutto il pianeta, mentre l’individuo vive per se stesso e non per il destino dell’umanità.
È l’individualismo che ha generato l’alterazione patologica dei rapporti nella famiglia, tra privati, nei partiti e persino nella pubblica amministrazione. È il tornaconto individuale che ha portato alla degenerazione clientelare perfino nei luoghi dove si soffre. È l’individualismo che, con le sue coreografie, cerca la manipolazione mediatica dell’opinione pubblica con l’intento solo di rafforzare il potere.
Dobbiamo confessare che anche i cattolici impegnati nel sociale non hanno contribuito negli ultimi due decenni ad edificare un umanesimo integrale, solidale e planetario. Gli incontri di Todi 1 e Todi 2, che dovevano servire per costruire non un’unità politica, ma una convergenza culturale, non hanno portato buoni frutti perché ogni gruppo ha preferito conservare i propri interessi individuali.
Si sono scelti la chiusura e il ripiegamento su se stessi finendo a rendere ancora più irrilevante la presenza dei cattolici nella vita pubblica ove la “differenza cristiana” si è omologata nelle logiche correntizie e nei personalismi.
È giunto il momento di una deviazione di marcia atta a ricercare le condizioni per restituire all’umanesimo solidale una maggiore dignità.
Come cittadini, ai cristiani incombe il dovere di attuare le priorità per i più deboli, dando speranza al paese, attraverso una politica che non separi i fatti dai valori, i mezzi dai fini, il fondamento etico della necessità della mediazione con le scelte intransigenti. È necessaria una politica che non si ripieghi su se stessa disperdendo uomini generosi e frustrando esperienze valide: ciò non fa di certo bene al paese.
Credo che a noi laici cristiani incomba la necessità di fare una coraggiosa autocritica costruttiva. Dobbiamo ammettere le responsabilità di certi movimenti laicali che negli ultimi tre decenni si sono limitati a difendere i sacrosanti principi etici relativi alla nascita, alla morte, al matrimonio, alla sessualità lasciandosi trasportare da schemi ideologici. Occorre ammettere che alcuni di noi sono stati poco vigilanti verso i politici che si dimostravano rispettosi dei valori cristiani più per convenienza che per convinzione.
Non si dovrà inoltre sottacere che c’è un divario drammaticamente penoso tra i documenti elaborati nei convegni ecclesiali e i comportamenti dei cristiani nella vita politica. Non si potrà disconoscere, infine, che anche i nostri vescovi sono stati poco profetici, preferendo scegliere il compromesso anziché la parèsia, cioè il parlar franco, pur di ricevere in cambio privilegi fiscali e sovvenzioni.
L’apertura agli altri e il relativo impegno sociale non possono ridursi alla denuncia, ma è bene anche allontanare da noi la tendenza che Papa Giovanni già denunciava, di essere, cioè, “profeti di sventura”, anziché uomini portatori di speranza alle donne e agli uomini del nostro tempo.
Così l’impegno dei cristiani si configura anche come una vera, fondamentale esperienza spirituale.
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