“Come si mangia?”. Se c’è una domanda che mi fa imbestialire quando torno da un viaggio è questa. D’accordo, anche il cibo fa parte della cultura di un popolo, ma sono stata in capo al mondo, in un luogo che non riesci nemmeno a collocare sulla carta geografica e l’unica cosa che ti viene in mente di chiedermi è come si mangia?
Tornando da Bali mi sono tolta una piccola soddisfazione: “Si mangia bene, ma quel che mi ha incuriosito di più è stato il caffè di mangusta”.
“Il caffè di mangusta?”.
“Sì. I chicchi di caffè vengono dati da mangiare a una mangusta, che non li digerisce e, dopo un certo tempo, li espelle interi – non sto a precisarti da dove. Il caffè viene poi lavato – almeno così ci hanno assicurato – tostato, macinato e trattato come un normalissimo caffè”.
“E tu l’hai bevuto?” (tono incredulo, espressione disgustata).
“L’ho assaggiato e non è niente male, se ti piace il caffè lungo come lo bevono lì. Ha un gusto molto morbido”.
A questo punto l’incauto interlocutore è sufficientemente sconvolto per tralasciare l’argomento alimentazione e passare a domande più sensate.
Allora posso parlargli dei templi, del colore della pietra, della serenità di un funerale celebrato sulla riva del mare. Ma anche delle scimmie sacre o delle volpi volanti. E delle spiagge, bianche o nere, dei vulcani, delle distese verdazzurre delle risaie. Sembra impossibile che in un’isola grande un quinto della Sicilia si concentrino tante realtà da scoprire.
I templi. Sono l’aspetto più interessante e dal loro numero si può capire come la religione pervada ogni momento della vita balinese. Ce ne sono ovunque e di ogni genere. Monumentali e imponenti, alle falde dei vulcani, ai margini delle foreste o sulle rive dei laghi e del mare, con tetti a pagoda sovrapposti in numero variabile a seconda della divinità a cui sono dedicati. Sono i templi pubblici. E poi ci sono quelli privati, spesso semplici altari, dedicati agli dei del focolare – gli spiriti degli antenati. Ce n’è uno in ogni casa, in ogni negozio, in ogni edificio. Tutti sono in tufo grigio, il colore dominante di quest’isola vulcanica. Pare siano circa duecentomila. All’inizio della giornata vi si depongono offerte: piccoli cestini riempiti di fiori, frutti, riso. Un cestino viene lasciato anche fuori da ogni porta. Nelle ricorrenze speciali, come nascite, matrimoni, funerali o… limatura dei denti, le offerte sono abbondanti, raccolte in cesti riccamente confezionati che le donne portano sul capo ai templi più importanti.
Mi rode un tarlo: che sarà mai la limatura dei denti? Suki, la guida, ci spiega che si effettua al 18° anno di età e consiste, letteralmente, nella limatura degli incisivi e dei canini superiori, perché siano tutti della stessa lunghezza. Ha il valore simbolico dell’ingresso nella maggiore età, ma anche la funzione estetica di migliorare il sorriso (!).
Le risaie sono un’altra caratteristica dell’isola, e non solo perché sono una delle principali risorse economiche. Sono anche bellissime da vedere: si estendono su intere colline terrazzate e, quando sono piene d’acqua, il verde delle piantine si mescola con il riflesso azzurro del cielo negli invasi. E anche qui emerge la religiosità della popolazione: mi ha intenerito scoprire che le donne mietono tenendo la lama nascosta nel palmo della mano “per non spaventare la Dea del riso”.
Questa religione, che fonde l’induismo con le antiche credenze animistiche pagane, è di gran lunga la più diffusa nell’isola. L’impressione che ne trae l’osservatore esterno è quella di una serenità profonda. A Goa Lawah, dove il tempio della Grotta dei Pipistrelli si erge di fronte al mare, notiamo una folla di persone, tutte vestite prevalentemente di bianco, sedute sulla spiaggia di sabbia nera attorno ad un padiglione dove un sacerdote sta celebrando dei riti. Apprendiamo che è una cerimonia di dispersione delle ceneri. Vi partecipano tutti gli abitanti del villaggio del defunto e si svolge nella più completa serenità, nessuno piange o si dispera, ma tutti portano coloratissime offerte alle divinità. Si ha la sensazione che non abbiano espulso la morte dalla vita, ma l’accettino come uno dei suoi momenti fondamentali. A conclusione della cerimonia, si forma un corteo che sale al tempio; le donne, nei loro sarong colorati su cui indossano la camicia bianca del terzo giorno di lutto, recano sul capo cesti elaborati di frutta e fiori che lasciano sull’altare, di fronte alla grotta da cui pendono centinaia di pipistrelli sacri.
“Tutto è pieno di dei”. Quando saliamo sulla collina che domina i laghi gemelli di Gobleg, mi chiedo se nasconda un dio anche il pitone che due ragazzi reggono sulle spalle. Lo accarezzo, lo sento liscio, freddo, vivo e… quasi amico.
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