Religiosi e religiose, al pari di tutte le altre persone consacrate, sono stati definiti “esperti di comunione”. In questo anno va curata la “spiritualità della comunione“, indicata da san Giovanni Paolo II a tutta la Chiesa.
Devono essere in prima linea nel cogliere «la grande sfida che ci sta davanti» nel nuovo millennio: «fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione». Tutti si devono sentire impegnati a pari titolo e lavorare con serietà perché l’ideale di fraternità perseguito dai Fondatori e dalle Fondatrici cresca ai più diversi livelli, come a cerchi concentrici.
La comunione si esercita all’interno delle rispettive comunità dell’Istituto. Nei suoi interventi il Papa non si stanca di ripetere che critiche, pettegolezzi, invidie, gelosie, antagonismi non hanno diritto di abitare nelle nostre case. Ma, dopo questa premessa, il cammino della carità che si apre davanti è pressoché infinito, perché si tratta di perseguire l’accoglienza e l’attenzione reciproche, di praticare la correzione fraterna, la comunione dei beni materiali e spirituali, il rispetto per le persone più deboli… «La ‘mistica’ di vivere insieme» fa della nostra vita «un santo pellegrinaggio».
Dobbiamo interrogarci anche sul rapporto tra le persone di culture diverse, considerando che le comunità religiose diventano sempre più internazionali. Come consentire ad ognuno di esprimersi, di essere accolto con i suoi doni specifici, di diventare pienamente corresponsabile?
Poi deve crescere la comunione tra i membri dei diversi Istituti. Quest’anno è l’occasione per uscire con più coraggio dai confini del proprio Istituto ed elaborare insieme, a livello locale e globale, progetti comuni di formazione, di evangelizzazione, di interventi sociali.
La comunione e l’incontro fra differenti carismi e vocazioni è un cammino di speranza. Nessuno costruisce il futuro isolandosi, né solo con le proprie forze, ma riconoscendosi in una comunione che si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, all’aiuto reciproco e ci preserva dall’autoreferenzialità. La vita consacrata deve perseguire una sincera sinergia tra tutte le vocazioni nella Chiesa, a partire dai presbiteri e dai laici, così da «far crescere la spiritualità della comunione prima di tutto al proprio interno e poi nella stessa comunità ecclesiale e oltre i suoi confini».
Fraternità nella vita comunitaria, fra comunità, con ogni essere umano, addirittura arrivando al più dimenticato, al meno degno.
La fraternità di tutti i cristiani, che tutti i consacrati sono chiamati a testimoniare, è un segno, addirittura un segno che lascia comunicare la fraternità di Cristo per tutti gli uomini, per ogni creatura.
È la sottolineatura fatta anche dai Vescovi per la Giornata della Vita Consacrata: “I segni di comunione sono ciò che più esige il nostro tempo e diventano via privilegiata per mostrare la novità del Vangelo ed essere segno di una Chiesa esperta in umanità. I contesti che viviamo sono segnati spesso da problemi relazionali, solitudini, divisioni, lacerazioni sul piano familiare e sociale. Essi attendono presenze amorevoli, segni di fiducia nei rapporti umani, inviti concreti alla speranza che la comunione è possibile. Una proposta credibile del Vangelo esige la cura dei processi relazionali ed ha bisogno di appoggiarsi a segni di vera comunione”. Gioia, riconoscenza, disponibilità rinnovata ad essere questi segni di comunione.
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