Ci chiamano – ci hanno chiamato – baby boomers, termine usato spesso anche da chi scrive, che appartiene a questa categoria, sebbene ormai di baby abbia ben poco. Baby boomers: i figli del boom. In Italia – ma probabilmente anche in altre nazioni europee o extraeuropee – si dovrebbero ricomprendere tra i baby boomers i nati nel decennio 1945-1955.
Come per tante definizioni storiche la delimitazione non è rigorosa, assoluta, perché per esempio vi potrebbero appartenere anche personaggi nati attorno al 1940, andando all’indietro, oppure, proseguendo un poco, attorno al 1960. Le distinzioni, le attribuzioni in questo come in altri casi non sono tagliate con l’accetta. Molto dipende dalle circostanze, dai luoghi in cui si è vissuti: tra Nord e Meridione d’Italia, tra città e campagne vi sono grosse differenze.
Ma più in generale oppure per essere un po’ più precisi, a seconda, si potrebbe affermare che i figli del boom sono coloro che del nostro Paese conservano ancora un ricordo nitido degli anni Cinquanta: a Varese, si fa per dire, una città senz’auto e con tante biciclette; le sirene delle fabbriche che il mattino, a mezzogiorno e la sera scandivano la giornata del lavoratore, come una volta le campane della chiesa per il contadino; i tram che sferragliavano e noi, giovani e grandi, sempre in giacca e cravatta, anche a scuola; le estati caldissime senza condizionatori, gli inverni gelidi e le case riscaldate con le stufe a legna…
Nella prima metà degli anni Sessanta in Italia il boom era già finito, si cominciò a sentir parlare di congiuntura e di crisi, quindi di “autunni caldi” e poi di anni di piombo… E i baby boomers diventarono figli dei fiori prima e arrabbiati barricadieri poi, o entrambe le cose. Gli uni diversi dagli altri e gli uni e gli altri insieme. Sullo sfondo un evento, l’avvio della Tv, qualche regalo dell’America che aveva (con noi? no e l’avremmo scoperto dopo) vinto la guerra – i Cowboy, i Jeans e il Juke Box – e una colonna sonora che è la più bella del secolo trascorso: da Elvis Presley ai Beatles e ai Rolling Stones… E in Italia da Bobby Solo a Mina e a Patty Pravo, e a De André, a Celentano, a Paoli, a Guccini… I gusti sono gusti.
Tutti baby boomers eravamo. Ma, come sempre, non bisogna nemmeno fare di ogni erba un fascio, attraversando gli Oceani. Lo sottolineava anche Aldo Grasso, che è un critico televisivo importante e – come penso – anch’egli un baby boomer, parlando del recente concerto mediatico (perché la Tv ogni cosa rende uniforme) di Claudio Baglioni e di Gianni Morandi: Capitani coraggiosi.
Sì – afferma in buona sostanza Grasso –, Gianni e Claudio sono capitani coraggiosi oggi in televisione. Con Morandi ex Giberna (quanti filmetti amorevoli di lui in divisa: In ginocchio da te, Se non avessi più te, Non son degno di te ecc.) e con Baglioni, di “quella sua maglietta fina tanto stretta che m’immaginavo tutto…”. Insieme proponevano anche la famosissima “C’era un ragazzo che come me…”, che poi era una canzone di Mauro Lusini. Giustamente però, ricordava anche Grasso, chi amava i Beatles e i Rolling Stones, a quell’epoca, difficilmente spasimava per Morandi o per Rita Pavone (Baglioni stava lavorando ma sarebbe arrivato da lì a qualche anno). E poi, onestamente, chi faceva il militare a Pavia o a Piacenza e faceva un giorno di licenza sì e uno no poteva soffrire un poco, ma mica stava a destreggiarsi nel Delta del Mekong.
Insomma da qui agli USA c’è sempre stato di mezzo il mare e non solo. E quando poi – da noi – si infiammarono i cortei c’era chi lanciava i sassi e chi li prendeva in testa… E chi non poteva fare né l’una né l’altra cosa, perché era già a lavorare in fabbrica o voleva soltanto studiare qualcosina per imparare.
Adesso che i baby boomers sono quasi tutti in pensione, molte cose sfumano. Come sempre, amici, tutti uguali – todos caballeros –, stessi ideali, stessi sogni, stessi risultati… Ma fino a un certo punto. Anche nella generazione precedente c’erano quelli che erano andati in Russia e che erano tornati a casa in ciabatte (se ce l’avevano fatta) e quelli che s’erano imboscati al calduccio da qualche parte tra le Alpi e il Lilibeo, come scriveva ogni domenica un “vecchio” direttore della Prealpina. Ma per l’Italia, tutti ex combattenti, tutti per e con il sacrificio. Tanto chi se lo ricorda.
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