Casualmente incontro un amico. È uno dei miei tre lettori e molto garbatamente mi fa notare che nel mio ultimo intervento su questo giornale ho ricordato San Francesco, ma non la festa della Madonna “Regina delle Vittorie”, il cui ricordo, per una fortuita coincidenza, ricorreva quest’anno nello stesso giorno in cui si faceva memoria del poverello d’Assisi. È la festa meglio conosciuta sotto il nome di “Madonna del Rosario”.
L’amico, la cui simpatia verso di me è eccessiva, ma non verso il mio pensiero che non sempre coincide necessariamente con il suo, ne approfitta per lanciare invettive contro quei cristiani che pensano di salvare l’Occidente dall’invasione islamica con la sola arma del dialogo, come fece San Francesco, anziché con la forza della fede, come fece Pio V che, chiamando a raccolta tutte le milizie dei “re cristianissimi”, sbaragliò la flotta turca a Lepanto il 7 ottobre 1571.
Fu in ricordo di questa vittoria che Pio V istituì la festa della Madonna del Rosario e Lepanto divenne la data prediletta a tanti cristiani che preferiscono all’incontro lo scontro, acuendo lacerazioni all’interno delle comunità cristiane.
Ho fatto notare al mio amico che ogni fatto storico deve essere contestualizzato nel periodo in cui accade. Francesco viveva in un’epoca in cui la stessa chiesa predicava la crociata contro gli infedeli. Eravamo in periodo di “cristianità”, iniziato da Costantino, proseguito da Carlo Magno, continuato con gli “stati cattolici” che reggeranno l’Europa fino alla rivoluzione francese. In questa “età costantiniana” troppo lungamente si diede a Cesare ciò che apparteneva a Dio. I cristiani si facevano condurre nelle loro battaglie trincerandosi dietro al “Dio lo vuole” e usando come arma di battaglia la loro fede.
Il mio amico ascolta, ma subito dopo riprende a dolersi dell’eccessivo lassismo che ha colpito la chiesa, a denunciare il pauperismo di Papa Francesco e il pericolo dell’islamizzazione dell’Occidente. Gli faccio osservare che questi pericoli sono dovuti solo in parte alla desacralizzazione della nostra società, ma anche – se non soprattutto – perché la cristianità in epoche anche non lontane, dietro all’esigenza del sacro, ha camuffato non il servizio evangelico all’uomo, ma il potere sull’uomo. Dietro al termine “cristiano” si è nascosta spesso una fazione, una setta, mentre la parola di Gesù unifica tutti gli uomini, soprattutto i poveri e gli oppressi.
D’altra parte, il concilio ha spazzato via tutto ciò che appesantiva la chiesa e anziché attendere che l’uomo si avvicinasse alla fede, ha preferito andargli incontro per annunciargli la buona novella.
Oggi, infatti, la chiesa ha fatto un’opzione per l’uomo con la quale il disegno di Dio di tutti si pone al servizio di tutti gli uomini.
Nella nostra società molti si dichiarano atei, non credenti: con costoro i cristiani autentici, più che con tante opere, ma con faticosa e fedele perseveranza, dovrebbero entrare in dialogo per costruire l’amicizia tra gli uomini.
Oggi alcuni cristiani mostrano tratti di fondamentalismo e vorrebbero imporre a ogni costo i loro principi in una società post-cristiana, finendo per contribuire ad accrescere l’inimicizia fra gli uomini.
Agli occhi di certi cristiani i mali del nostro tempo sono solo frutto del relativismo culturale e morale. Contro questi mali essi sono tentati al ritorno alle certezze, all’affermazione dell’identità pura e dura, mentre il cristiano sa vivere in questo mondo anche se Dio non informa più la cultura e vivere nelle opacità in cui Dio sembra morto.
Ci sono, infine, alcuni zelanti difensori, che magari non mettono più il piede in chiesa, i quali reclamano la costruzione di chiese cattoliche nei paesi in cui sorgono solo moschee in nome della reciprocità. Il Vangelo, però non chiede niente in cambio del farsi prossimo: chiede solo gratuità e non ricerca del proprio interesse personale.
Ho molto rispetto per la fede dell’amico, senz’altro più feconda della mia, ma penso che i cristiani d’oggi debbano vivere la loro fede immergendosi nelle contraddizioni e nelle problematiche di questo mondo. Essere il lievito che trasforma, acqua che feconda e purifica.
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