Un anno davvero importante per la famiglia. Un anno di riflessioni, di proposte, di progetti,di voglia di dare il giusto spazio a quella realtà così unica e straordinaria che ci ha permesso di conoscere e amare figure che portiamo sempre nel cuore, ancora di più quando la vita diventa ingrata, aspra, ruvida, difficile. Mi raccontava un sacerdote che ha partecipato all’ultima guerra sul fronte albanese che l’ultima parola dei soldati italiani, prima di morire era: mamma. C’era una mamma in ognuno di loro, il desiderio di un abbraccio che andasse oltre l’asprezza della condizione umana. La mamma è sempre stata e continua a essere una figura unica, l’unica capace di avere un confronto diretto con la vita, di capirne il significato profondo, oltre le barriere e le vicissitudini che la tormentano.
Per capire il senso della vita basterebbe guardare negli occhi una madre che osserva il proprio figlio, mentre lo governa con quella grazia magica e un po’ misteriosa che traspare dalla luce pacata e solenne del suo sguardo. È nella forza e nella bellezza della visione materna che si colloca la figura paterna, che s’incarna e gioisce come parte attiva di un mistero di cui il figlio diventa continuità. Padre e madre, due figure insostituibili, capaci di ricostruire il mondo in spazi ristretti, dove l’amore supera le barriere, dove non ha bisogno di sovrastrutture perché è nell’ordine umano delle cose, di cui siamo testimoni ed eredi, un ordine che va amato, capito e interpretato, perché non sempre ciò che appare è scontato.
La verità va ricercata sempre, anche quando sembra indefinita. Ecco perché la famiglia è straordinariamente bella e grande e incredibile, perché si sottopone continuamente alla nostra attenzione, non le basta la pur stupefacente definizione di un atto, ha bisogno di un’osservazione più profonda, attenta, completa, per avvicinare i suoi componenti all’armonia. Non una famiglia scontata, presa in affitto per la vita terrena, ma un centro di ricerca, di stupore e di benessere quotidiano, dove l’energia umana diventa anche un po’ divina.
Uno dei grandi limiti della nostra società è quello di aver banalizzato la famiglia, come se si trattasse di un punto di arrivo per definire meglio un desiderio. In molti casi l’abbiamo privata della sua capacità di crescere, di fare dei passi in avanti sul cammino della conoscenza di noi stessi e del mondo che ci circonda.
L’abbiamo resa incapace di ascoltare la voce dello stupore e della meraviglia, l’abbiamo costretta a sottostare alle leggi dell’egoismo e della ripetitività, privandola della sua capacità di abbracciare l’infinito, di esprimere la sua naturale tensione all’entusiasmo e alla felicità. L’abbiamo trasformata nel regno dell’egoismo, le abbiamo negato il diritto all’emancipazione, quella che le avrebbe consentito di rendere più vera e umana la sua presenza nella nostra comunità. Non abbiamo insistito abbastanza sulla sua natura politica, sulla sua valenza religiosa, sulla sua capacità di essere formatrice di cuori e coscienze. Non le abbiamo detto con sufficiente entusiasmo che i figli vanno curati, seguiti, aiutati a prendere coscienza della vita in tutte le sue sfaccettature e che la vita umana non è rifiuto da spargere sull’asfalto. Ne abbiamo ridotto l’essenza, aprendo la via a chi gioca le proprie carte per trovare l’alibi su cui appoggiare il proprio egoismo.
Un anno importante dunque, grazie all’intuizione di un pontefice e di un sinodo attenti a richiamare l’attenzione della famiglia umana sulla sua capacità di accendere una nuova luce su un mondo dominato da vaste chiazze di opacità e di ombre e dove riesce sempre più difficile far capire la differenza tra il lecito e l’illecito, il naturale e l’innaturale, tra ciò che ci aiuta a star bene e ciò invece che consuma la nostra esistenza.
You must be logged in to post a comment Login