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Cultura

GUTTUSO E BODINI BOCCIATI

SERGIO REDAELLI - 09/10/2015

sgarbiCome sempre Vittorio Sgarbi colpisce duro: “Guttuso? Bodini? Ormai li avete e dovete tenerveli”. Non vanno proprio giù al critico d’arte ferrarese La Fuga in Egitto alla terza cappella del Sacro Monte di Varese e la statua di Paolo VI dello scultore di Gemonio. La scena evangelica narrata dal pittore siciliano è per lui un “lavoro cartellonistico, un fumetto, e segna la decadenza rispetto ai grandi maestri del Seicento che hanno lavorato al Sacro Monte”; così come la statua di Paolo VI di Floriano Bodini “ha forza plastica ma non è espressiva, è un’opera cincischiata e come l’acrilico di Guttuso denuncia un peccato di superbia, la supponenza di opporsi ai maestri lombardi seicenteschi”.

Il sulfureo polemista pronuncia severi giudizi davanti al folto pubblico accorso al cinema Castellani di Azzate per sentirlo parlare dei Sacri Monti di Varallo Sesia e di Varese nell’ambito del Premio Chiara “Festival del Racconto” in collaborazione con gli Amici del Sacro Monte e la Pro Loco di Azzate; e la serata diventa anche l’occasione per leggere intensi brani del suo ultimo libro “Gli anni delle meraviglie”, volume secondo (2015, Bompiani, € 18). È assente la sorella Elisabetta, direttore editoriale della casa editrice Bompiani, ma si proietta in sala il documentario su Varallo che realizzò alcuni anni fa con i testi del filosofo Giovanni Reale.

Profondo e magnetico divulgatore, il “critico play-boy” svaria dal Sei al Novecento scovando paralleli e significati reconditi tra scultura e letteratura, passa da Gaudenzio Ferrari a Giovanni Testori, dalla controriforma all’Isis: “L’Islam e l’ebraismo non hanno immagini di Dio – spiega – perché considerano la divinità fuori della portata d’immaginazione dell’uomo. Il cristianesimo, invece, ha espresso una quantità straordinaria d’immagini della bellezza per descrivere Dio; un Dio che si fa uomo e concede all’uomo il privilegio di raccontarlo, così com’è avvenuto dall’arte bizantina a oggi”.

 Sgarbi cita Benedetto Croce (“non possiamo non dirci cristiani”) e constata che oggi il cristianesimo è minacciato dal fanatismo religioso: “L’aggressione a Palmira è un’aggressione a Roma – dice – aveva visto giusto Oriana Fallaci, la tolleranza non deve essere vergogna delle proprie radici”. Tra la fede e l’arte c’è un collegamento antico ma già alla fine dell’Ottocento le chiese hanno perso le linee architettoniche e le decorazioni delle volte e delle cupole. “Nel Novecento il racconto del sacro sembra poi smarrirsi del tutto e un quadro simbolo come il Quarto Stato di Pelizza da Volpedo, che raffigura i lavoratori che avanzano idealmente verso la rivendicazione dei propri diritti, è un’opera in cui è assente Dio”.

“Tutti i principali artisti del Novecento eludono il tema religioso, da Picasso a Klee a Morandi – osserva – Il Novecento è ateo nelle rappresentazioni iconografiche e la Fuga in Egitto di Varese è opera del comunista Guttuso. È come se il Novecento mettesse in discussione l’arte cristiana, che resta invece la formula espressiva dei Sacri Monti lombardi e piemontesi, il più antico a Varallo degli inizi del Cinquecento e quello di Varese, teatrale, che celebra la festa del Rosario con le sue maestose prospettive, l’illusorio sfondamento della cupola verso il cielo alla quarta cappella, tipicamente barocca, le statue con la loro realtà parlata e vissuta, la decima cappella con l’altissimo livello d’arte astratta del Morazzone”.

Per Sgarbi “il Novecento porta però anche qualcosa di nuovo e clamoroso nella storia dell’arte. Da quando Giorgio Vasari, pittore mediocre e scolastico ma efficace storico, ha celebrato nelle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori la scuola toscana e rinascimentale, mettendola al centro dell’arte nazionale, la riscoperta di Caravaggio segna la rinascita dell’arte lombarda. Gran parte del merito va a Giovanni Testori che, innamorato del “gran teatro montano”, rivaluta maestri come Morazzone e Nuvolone, Tanzio da Varallo, il Cerano, Procaccini e Gaudenzio Ferrari”.

Il Novecento che aveva perso consapevolezza delle radici cristiane, conquista spazi nuovi all’arte lombarda e religiosa e Testori ne diventa il poeta, come spiega la lapide che lo stesso Sgarbi ha fatto murare a Varallo: “Questi sublimi luoghi non hanno solo un contenuto sacro, ma artistico. Per i turisti possono esprimere una bellezza paragonabile a quella di Capri e l’esperienza della salita verso il cielo lungo il percorso devozionale non è meno affascinante della discesa ai Faraglioni. C’è anzi più forza e profondità spirituale”. È un completo cambio di rotta ed è forse grazie alla parola di Testori che Guttuso decise di lasciare una testimonianza al Sacro Monte di Varese. Anche se, per Sgarbi, era forse meglio evitarlo.

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