Uno dei grandi problemi della società moderna è quello di avere lasciato libero corso a una interpretazione arbitraria della cultura che, in molti casi, è diventata dispersione, dubbio, incertezza, incapacità di dare risposte adeguate ai vari e sostanziali perché della nostra società. La cultura laica ha determinato svolte che hanno disorientato e confuso i valori cardini sui quali si era posizionata la legalità italiana del dopoguerra.
Rileggendo Montini ci si domanda come mai non sia stato possibile conservare o correlare le diverse interpretazioni, che cosa non abbia funzionato nella comunicazione dialogica, come mai in taluni momenti la Chiesa si sia lasciata irretire da una generalizzazione del concetto di libertà, come mai il tema della famiglia abbia rotto l’unità del mondo cattolico, come mai il mondo cattolico abbia preso le distanze dalla Chiesa e abbia agito sull’onda di una visione politica della morale e dell’etica.
La verità è che il pensiero laico ha incontrato una cultura cattolica largamente impreparata, in molti casi priva di quella coerenza/convinzione che le aveva procurato larghi consensi elettorali da parte della gente. È venuto meno uno dei simboli della cultura cattolica, quel senso della sacralità che aveva impregnato la catechesi cristiana del dopoguerra, che aveva dato un senso superiore alla realtà, proponendola come qualcosa di più importante rispetto alla quotidianità dell’interpretazione umana. L’aspetto sacramentale ha subito una involuzione e l’innesto della cultura laica in quella cattolica ha generato stravolgimenti che ne hanno sminuito la portata storica.
C’è stato forse qualcosa che non ha funzionato nel passaggio dal cattolicesimo pre-conciliare a quello post-conciliare? Si è forse verificata una rinuncia cattolica in funzione di un allargamento o di una dilatazione del livello di comprensione generale degli eventi e dei fenomeni? Resta il fatto che la famiglia, asse portante del cristianesimo attivo, ha perso il suo potere contrattuale. La famiglia è diventata fragile, incerta, confusa, non ha più saputo ritrovare la sua coesione interna. Il matrimonio e la famiglia sono diventati preda di una legislazione di comodo che ha frantumato l’essenza del vincolo familiare, avallando varie forme di individualismo e comportamenti assolutamente contrari a una corretta e lineare interpretazione della teologia umana della Chiesa.
Giovanni Battista Montini ha difeso a oltranza la famiglia, concedendole il valore umano della storicità. Ha cercato in tutti i modi di arginarne la dissoluzione, aprendo le porte della Chiesa a una interpretazione più adeguata ai tempi. Montini uomo di cultura è profondamente prete. Sente vibrare dentro di sé quella vocazione pastorale del servizio che lo porta a scegliere di lavorare insieme alla gente, per la gente. È soprattutto pastore quando spera che il mondo religioso scenda nelle strade per respirare le attese e le aspirazioni della gente comune, quella che cerca disperatamente una via di fuga alle iniquità perpetrate quotidianamente da coloro che strumentalizzano i valori per sottomettere e opprimere, per impedire che la condizione umana si evolva e si riconosca.
Giovanni Battista è grande perché riconosce la sua fragilità, la sua condizione umana, il suo incessante bisogno di Chiesa. Ogni volta che si approccia al mondo lo fa con la benevola autorevolezza del padre che osserva, vede e comprende che l’umanità ha bisogno di un’armonia e che l’armonia nasce e si sviluppa solo quando ragione e fede si fondono, quando l’essere umano riconosce i propri limiti e si affida alla speranza cristiana come unica e vera forma di emancipazione.
Certo non deve essere stato facile per Montini accettare il male e ogni forma di violenza, sorprendersi ogni volta che la storia ha capovolto o stravolto le sue convinzioni o le sue speranze. Come uomo soffre quando deve rimproverare o esercitare la sua cura in nome di Cristo. È la parte più drammatica ma anche più bella della sua pastorale, quella che si lega ai problemi e alle perversioni di una umanità in molti casi preda del fanatismo, della faziosità, dell’arroganza. Soffre e comunica la sua preoccupazione, vorrebbe che il mondo lo ascoltasse, perché è convinto che la via della salvezza non stia nell’uomo, ma in Dio. Afferma che l’unica vera pace è quella dell’anima, quella che sorge dal sacrificio della croce, quella che non si lega al materialismo umano, ma alle cose divine.
La grandezza di Montini è nella sua capacità di mantenere saldo il timone della Chiesa in uno dei momenti più difficili della sua storia, che è anche e soprattutto storia umana, storia di uomini e donne che cercano disperatamente una risposta sicura ai loro perché, ai loro perché. Anche come successore di Pietro continuerà il suo dialogo umano con i fratelli, vivendo le loro pene e i loro entusiasmi, le loro speranze e le loro delusioni, con l’amore e con l’autorevolezza di un padre e di un fratello maggiore. L’amore non è abbandono, ma lotta, lotta contro il male, lotta contro le tenebre che tendono a cancellare la forza e la bellezza del messaggio cristiano. Anche quando prende posizione lo fa non con l’arroganza di chi sfodera gli artigli del comando o del potere, ma con la razionale ponderatezza di chi deve assolvere un compito speciale e delicato in difesa di quella umanità che le è stata affidata. Un compito ingrato, ma grande nella sua dimensione pastorale. Cercare sempre la via del bene in un mondo versato nella condivisione del male. È una grande prova di umanità, l’espressione più alta della dignità.
Giovanni Battista Montini è un riformatore che supera gli antagonismi politici, che va oltre gli ideologismi, le culture della storia, perché sa che quella storia e quelle architetture stanno dentro quel grande contenitore che è l’amore di Dio per le sue creature. È in questa dimensione cosmica che Giovanni Battista si muove, richiamando l’uomo alla sua natura, al suo rapporto con la creazione e con il creatore. Montini spalanca le porte della Chiesa, esce dai confini un po’ monarchici dello stato vaticano, per esportare nel mondo il grande dono di una fede che promette salvezza, che dà agli uomini la speranza di una risurrezione. È la voce del cristianesimo, dimensione europea e mondiale di quel cristianesimo che ha consegnato una dignità e una speranza a tutti.
Drammatica è la Milano delle lotte studentesche e delle lotte sindacali. Montini attraversa come un nocchiero l’oceano delle tempeste: gli anni di piombo, l’uccisione di Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana e grande amico degli anni della FUCI. Il suo papato è tra i più imprevedibili e turbolenti della storia. Che cosa sarebbe stato senza la sua ponderazione? Come ne sarebbe uscita la Chiesa senza la sua proverbiale ragionevolezza, senza la sua capacità di sentirsi sempre, in ogni momento, parte in causa di una realtà, uomo tra gli uomini, testimone di fatti ed eventi difficili da collocare, da armonizzare, da sostenere.
Paolo VI ha condotto con amore e intelligenza la sua nave, senza mai abbandonare nessuno, neppure quando le onde erano drammaticamente alte, insidiose e violente. La sua voce profonda, uscita dall’impeto di un cuore generoso, ha sempre cercato tutti anche nei momenti peggiori, per far sentire a tutti il sostegno della parola di Cristo. È il Papa che viaggia sulle orme di San Carlo Borromeo.
Come afferma Giorgio Rumi in “Lavoro ed economia in G.B. Montini arcivescovo di Milano” (a cura di Adriano Caprioli e Luciano Vaccaro: “Quando G.B. Montini inizia il suo servizio episcopale in terra ambrosiana, non può non misurarsi con il suo più illustre predecessore, Carlo Borromeo. È infatti nella tradizione religiosa e civile della terra ambrosiana, Carlo Borromeo ha rappresentato da quattro secoli un punto di riferimento sicuro, da cui si può trarre, in ogni situazione, un ammaestramento decisivo ed una norma certa. Mentre Ambrogio si colloca in un passato ben più remoto, quasi fisicamente legato alla prima successione apostolica, alla evangelizzazione stessa dell’area cisalpina, il grande vescovo del Cinquecento lombardo ci parla direttamente, attraverso un’infinità di memorie artistiche ed edili, di prescrizioni liturgiche e pastorali, di segni lasciati nel ricordo popolare… Davvero, in moltissimi luoghi si può dire san Carlo è passato di qui. Egli è stato portatore di un modello compiuto di convivenza, che si estende dalla vita religiosa all’urbanistica, dai rapporti produttivi alle strutture sociali. Quella che ha avuto in mente era una nuova civica, che si apparenta, a questa stregua, a svariate città ideali del suo secolo. E in ogni caso, a lui i successori si sono potuti rifare: la sua ecclesiologia – almeno in linea di principio – è rimasta intatta, insuperata la libertas Ecclesiae da mantenersi, per quanto possibile nei confronti delle autorità civili variamente succedutesi nell’indifesa Milano; il clero stesso, perno dell’edificio borromaico, è stato forgiato, in sostanza, sul modello da lui elaborato, fino ai giorni nostri. Ancora a metà del Novecento, san Carlo ha rappresentato non solo il tipo ideale di vescovo, ma la fonte più importante della sostanza ecclesiale ambrosiana, la messa in atto più incisiva ed autorevole dei dettati della Riforma cattolica. È Giovambattista Montini a superarte il crinale dell’apologetica, ad inoltrarsi, con vigile risolutezza e con responsabile trepidazione, sul terreno di una commisurazione di quell’antico modello alla realtà contemporanea. Non è l’approccio montiniano, animato da quell’ansia di consenso attualistico, dalla penosa rincorsa epocale che deforma e guasta, irreparabilmente, le intenzioni migliori e la ricerca doverosa dell’intellegibilità e del mutamento esistenziale. La sua rilettura critica è fortemente segnata da rispetto ed affezione, senza traccia alcuna di quella sicumera con cui di recente, dopo tanto ripetitivo tradizionalismo, ci si è volti alla fede dei Padri. Montini vuole capire lo scenario complessivo su cui si dispiegava quell’azione episcopale, vuole valutarne i risultati con pacatezza, vuole ripensarne l’applicabilità, e addirittura la validità alle situazioni di questo secolo. Altro è dunque la comprensione storica di quella esperienza che dev’essere piena e approfondita, altro è l’adeguatezza ai problemi moderni. È , insomma, un approccio metodologicamente corretto e insieme ineccepibilmente moderno, cui non fa velo l’ipoteca ideologica e il particolare progetto ecclesiale. La conclusione cui perviene è la sorprendente attualità della lectio borromaica. Certo, non più di norma si tratta: all’arcivescovo Montini interessa, ben più del dispositivo specifico della prescrizione carolina, lo spirito delle leggi, secondo una distinzione non opportunistica, tra forma e sostanza, accompagnata spesso da una lieve ma efficace ironia sul mutare delle condizioni storiche, dei costumi, delle mentalità collettive. E per quattro anni, fra 1955 e 1958, l’anniversario di san Carlo è ricordato con una riflessione senza precedenti sulla validità del suo insegnamento”.
Nella via tracciata, papa Montini cala la sua attenzione concreta, la sua straordinaria capacità di dare un volto accettabile alla cultura del materialismo, spesso confinata nel conflitto e nella lotta, incapace di stabilire un equilibrio tra la necessità, i bisogni e la condizione umana dell’essere.
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