Durante un convegno medico svoltosi in Sicilia al quale ho recentemente partecipato, ho avuto l’opportunità di visitare, per la seconda volta nella mia vita, la valle dei templi di Agrigento, uno dei siti archeologici più importanti e più visitati del mondo.
La guida che ci ha condotto con grande maestria nella visita serale ci ha aiutato a immedesimarci con gli uomini che nel V secolo avanti Cristo hanno eretto quei templi, i quali sorgevano sul lato sud dell’antica Akragas, una delle città più importanti della Magna Grecia. Davanti a quei templi i cittadini della polis offrivano i loro sacrifici agli dei, che erano in un certo senso chiamati a proteggere la città attraverso quella cintura di edifici sacri così belli e imponenti, visibili già da lontano a coloro che giungevano ad Akragas dal mare.
Quelle offerte che venivano presentate agli Dei esprimevano il desiderio del cuore dell’uomo di entrare in rapporto con l’aldilà, presentito come l’orizzonte più vero anche se misterioso delle vicende umane.
Il tempio che si è conser
vato nella sua interezza è quello così detto della Concordia. Il suo sorprendente stato di conservazione, rispetto agli altri templi dello stesso sito archeologico, è dovuto al fatto che, a partire dal VI secolo dopo Cristo, in epoca bizantina, sia stato trasformato in una chiesa e sia stato utilizzato come luogo di culto cristiano fino al 1300.
Da tempio davanti al quale gli uomini offrivano i loro sacrifici agli dei si è trasformato così in ecclesia, luogo in cui la comunità cristiana riunita in assemblea faceva memoria del sacrificio con il quale il Figlio di Dio aveva offerto se stesso per la salvezza degli uomini. I cristiani agrigentini hanno utilizzato quei luoghi sacri anche per un altro culto, quello dei loro defunti, scavando sepolcri nelle possenti mura di tufo, erette dai loro antenati.
Ciò che colpisce di questa vicenda storica è proprio l’innesto di una storia nell’altra, due storie di cui noi siamo figli. Tutte le ideologie che vogliono imporre la loro dittatura, hanno la necessità di cancellare il passato, come ci stanno tristemente mostrando, anche di questi tempi, i miliziani del Califatto, che si autocondannano così all’effimero.
Ma anche l’uomo occidentale può autocondannarsi, in modo certo meno eclatante ma più subdolo, all’effimero della moda che il potere detta, senza il respiro dei secoli, che apre alla nostalgia di qualcosa al di là.
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