La battaglia per il Comune di Milano sarà l’anno prossimo la madre di tutte le campagne amministrative e potrà avere effetti anche sulle vicende del governo nazionale. Il “vento del Nord” è sempre soffiato da Milano. Dai tempi lontanissimi di Benito Mussolini a quelli più recenti di Bettino Craxi e di Silvio Berlusconi. Matteo Renzi, il leader forte di oggi, è partito da Firenze ma le sue sorti difficilmente risulteranno indifferenti al risultato del capoluogo lombardo.
Milano è nettamente migliorata negli ultimi anni. I problemi irrisolti non mancano: dalla gestione delle case popolari allo stato di precaria salute dei quartieri periferici. Ma è più viva e attraente e non soltanto per Expo e la nuova Darsena. Malgrado la mia appartenenza al centrosinistra non dirò che è merito esclusivo degli ultimi cinque anni. In realtà la città era un pullulare di cantieri modernizzanti già durante il mandato di Letizia Moratti. Non c’è dubbio però che l’amministrazione Pisapia ha fornito il contributo decisivo. Ecco perché non ho compreso e condiviso il suo rifiuto a ricandidarsi, ma questa ormai è acqua passata.
Se c’è una città italiana nella quale la cosiddetta società civile è sempre stata un elemento forte e incisivo di sviluppo questa è Milano. Ha svolto la sua positiva azione con sindaci di entrambi gli schieramenti. Quando il centrosinistra perdeva, era soprattutto per l’insufficienza della sua proposta (programmi e candidati) non per una ingiustificata diffidenza della comunità non direttamente impegnata in politica. Vedere Piero Bassetti nell’ultima campagna elettorale spendersi per Pisapia non mi ha affatto sorpreso ma non c’era solo lui, c’era un pezzo importante della borghesia milanese.
Ecco il primo compito che spetta ai nuovi protagonisti dell’area progressista (e anche delle altre culture politiche): fare in modo che si valorizzi il civismo milanese permettendogli uno spazio non secondario. Tutto ciò sarà essenziale per i problemi molto complessi che dovranno essere affrontati. Il primo sarà costituito dalla nuova città metropolitana (tanto più ampia dell’odierna Milano) che avrà un potente impatto sui trasporti, sulle reti di comunicazione di vario genere, sulle università e sulla ricerca (il dopo Expo), sull’assetto sanitario di base. In sostanza sul sistema di vita e di lavoro di centinaia di migliaia di cittadini.
Un sistema vitale di relazioni sociali che finirà per riguardare anche Varese, Busto, Gallarate che purtroppo in passato non hanno saputo guadagnarsi un ruolo sulle grandi infrastrutture dell’asse Milano-Varese (la prima autostrada d’Italia, non dimentichiamolo). La strategia dell’orticello localista è risultata inadeguata per incidere su queste fondamentali strategie territoriali.
Busto e Gallarate andranno alle elezioni (insieme a Varese) l’anno prossimo e dovranno prendere un orientamento sulla loro collocazione istituzionale: ente intermedio con Varese oppure appartenenza alla città metropolitana? Ma anche la stessa Varese non dovrà essere estranea alla formazione di queste decisioni. Glielo impone il suo ruolo storico di capoluogo della provincia. Penso che la campagna elettorale dovrà dire parole precise in merito a questa problematica.
Mi pare ineluttabile che gli schieramenti politici che si confronteranno l’anno prossimo nelle nostre città saranno influenzati da quanto succederà a Milano. Un punto di debolezza questa interrelazione? No, se questo vuol dire capacità di farsi ascoltare sui grandi progetti che la metropoli propone e che possono determinare utilissime ricadute sul nostro territorio.
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