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Politica

LEGA DI LOTTA E/O DI GOVERNO

MANIGLIO BOTTI - 21/01/2012

Partito di lotta e/o di governo. È l’argomento che, in questi giorni, sconvolge la Lega Nord. Non è un tema nuovo, in verità. L’ossimoro politico-programmatico fu coniato dal leader del PCI Enrico Berlinguer all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso. Non portò a risultati convincenti, almeno dal punto di vista del governo: alla fine al PCI restò solo un indigesto ibrido storico-compromissorio. E nemmeno, qualche decennio più tardi, lo stesso slogan giovò alla sinistra estrema, presente nei ranghi del governo moderatamente progressista di Prodi, ma con il cuore (e qualcosa di più) nelle piazze.

La situazione della Lega Nord – Lega Nord Lega Lombarda per l’indipendenza della Padania, per dirla tutta – sembra essere ben diversa. Per esempio, i suoi due capi oggi antitetici – Umberto Bossi a favore del “governo” e Bobo Maroni a favore della “lotta” – anni addietro (1994, primo governo Berlusconi) erano su sponde opposte, all’epoca il Senatür lottava e passava all’opposizione (?), mentre Bobo, che già aveva allungato i piedi sulla scrivania che era stata del ministro De Gasperi, voleva restare al governo. L’ostinazione costò a Maroni una reprimenda esemplare, tant’è che Bossi per far tornare l’amico a bordo del Carroccio dovette allontanarlo da Varese.

Diciott’anni dopo le cose sono cambiate parecchio. Il casus belli – il voto in Parlamento pro o contro il deputato del PDL Cosentino accusato dalla magistratura di fare da referente al clan dei casalesi con Bossi favorevole e Maroni avverso – s’è rivelato essere più un occasionale pretesto che un vero indirizzo politico. Un pretesto attraverso il quale si va identificando una presa di potere all’interno del partito Lega, di governo o di lotta che sia. In ballo c’è il futuro, c’è la questione ereditaria da dirimere, visto che il gran capo Umberto sembra ormai infiacchito. Se sarà cioè il Trota (al secolo, il figlio Renzo Bossi) a impugnare lo scettro del comando, che gli verrà presumibilmente consegnato dai rappresentanti del cosiddetto “cerchio magico” (Marco Reguzzoni, Rosi Mauro, Roberto Cota…), oppure se ne verrà in possesso il luogotenente di sempre, Maroni, che ha dalla sua molti militanti di area bosina. Sullo sfondo, in prudente e ragionevole attesa alcuni voraci lucci di lago – per restare alle similitudini ittiche – quali Roberto Castelli di Como/Lecco, Roberto Calderoli di Bergamo, e tutti i veneti che ormai, dei lümbard, presumibilmente ne hanno fin sopra i capelli.

Che cosa di finemente politico ci sia nel futuro leghista non si sa: il federalismo, di cui tanto in questi anni s’è vaticinato e scritto, nelle voci del governo Monti s’è trasformato in modo beffardo nella parola coesione. Dunque, al di là degli improbabili (e illegittimi) progetti secessionistici, restano le questioni di mera sopravvivenza. Da una parte la presenza nel Parlamento romano, che comporta congrui risarcimenti, e che potrebbe essere messa in crisi da una diversa legge elettorale, dall’altra la privativa della protesta e dello scontento popolare. Non a caso, quando la Lega s’è divisa sul voto per Cosentino, alcuni frequentatori del web così hanno commentato la svolta governativa bossiana: “Le Cinque Stelle (ndr, Beppe Grillo, le cui mosse tanto assomigliano a quelle del Bossi degli inizi), vi mangeranno vivi!”.

Stanco o no, il gran capo Umberto, anche stavolta, sta cercando com’è costume di indirizzare a suo vantaggio – e a vantaggio del movimento – le divergenze con il vecchio amico Bobo attuando il sistema mai abbandonato del tira e molla. Prima lo castiga, il Bobo, poi lo accarezza. Non è vero che lui non può più parlare alla folla, anzi s’è deciso di parlare insieme. Magari è per finta e c’è un po’ di tattica, ma si rivela anche una storia di amicizia antica, di quando un tempo si facevano le ore in pizzeria e si andava di notte a scrivere sui muri.

Al Capo almeno il buon sentimento va riconosciuto. E poi, prima di tutto bisogna vivere. In quanto alle filosofie c’è tempo: “Gh’è tèmp”. Forse.

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