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Opinioni

IL CAPITALE NON COMANDI SULL’UOMO

FELICE MAGNANI - 24/09/2015

capitalismoPassano gli anni, ma il capitale è sempre sull’onda e lo è nelle forme che ormai tutti conosciamo: vocazione al dominio e alla supremazia, alla repressione fisica e mentale, al mantenimento di uno stato perenne di subalternità culturale e materiale che impedisce ai cittadini di rendersi liberi e indipendenti nell’esercizio del loro sacrosanto diritto di cittadinanza. Vocazioni dunque che non sono mai cessate e che, anzi, col fenomeno della globalizzazione hanno acuito enormemente la loro dimensione pubblica e privata, creando disuguaglianze sociali radicali e profonde, che minano l’evoluzione della nostra società.

Il capitale rinnova le sue forme di capitalismo estremo, che rimangono intatte nella loro dinamica strutturale, ma che si allargano a dismisura nella loro condizione etica e geografica. Il capitalismo moderno si è costruito una sua corazza, è assolutamente invisibile agli occhi della gente comune, ha una forte componente tentacolare che si insinua ovunque sia possibile colpire, distruggere e sottomettere.

È una forma di potere occulto allargato che lascia intravvedere la sua etica del possesso attraverso lo strumento che gli è più congeniale: il denaro. Il denaro è la molla che forma la mentalità di chi anela a governare, anteponendo alla logica del bisogno quella dell’investimento. Il capitalismo tradizionale s’identifica col sistema bancario, radicalmente mutato nel corso del tempo. Da casa protetta del risparmio familiare si è trasformato in sistema d’investimento autonomo e auto finalizzato, cancellando quella vocazione promozionale che lo aveva caratterizzato alla nascita.

Moltissimi dei guai dei nostri imprenditori sono dipesi proprio da quel sistema bancario sul quale avevano depositato le loro speranze di sviluppo e di salvezza. Fino ad un certo punto la solidarietà sociale ha retto, poi in virtù dei flussi e riflussi europei si è ritirata su posizioni assolutamente autonome, abbandonando al proprio destino uomini e donne rimasti senza risorse economiche per combattere la competitività e la crisi generale. Un capitalismo estremo che pone le sue basi fuori dalla consueta logica nazionalistica e che opera su larga scala per consolidare e promuovere la sua rinnovata vocazione alla sedimentazione economico finanziaria della felicità umana, impedendo alla gente comune di poter veder realizzati i suoi sogni di libertà personale.

Dunque l’imperativo categorico di papa Francesco colpisce nel segno, si posiziona nella logica di una rigenerazione umana del sistema, in cui l’economia e la finanza tornino a rivestire la loro funzione collaborativa della solidarietà sociale, evitando così di generare vittime e frustrazioni proprio là dove si rende necessaria la collaborazione tra pubblico e privato. Un papa prende le difese della filosofia del cuore contro l’aberrante logica di un potere senza scrupoli, che infittisce le sue maglie nel cuore di un’Europa che respira ancora di antica spiritualità monastica, anche se tenta di stravolgere la sua storia impregnandola di nuove forme di colonialismo maniacale. Dentro queste maglie si piazza la voce salvifica di un papa che richiama il pianeta a un profondo e radicato esame di coscienza, per ricominciare a vivere con rinnovata gioia le bellezze del creato.

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