Alla fine è questa la caratteristica che ti fa amare i romani nonostante le tante difficoltà e i molti limiti di cui spesso ho scritto, emigrato nordico, anche su RMFonline. Parlo della capacità di questo popolo di cogliere l’essenziale, con uno sguardo semplice e diretto ed un distacco ironico da tutto ciò che è ideologico e che fa aderire immediatamente al vero.
Queste riflessioni mi venivano in mente due domeniche fa mentre, con fatica, attraversavo Roma da sud a nord per il pellegrinaggio delle sette chiese.
Proposto dal ramo femminile della Fraternità San Carlo Borromeo per festeggiare i dieci anni dell’inizio, il cammino ripercorre i passi di San Filippo Neri quando alla metà del ‘500 per ‘distrarre’ i giovani dal carnevale romano si inventò questo lungo attraversamento pedonale della capitale alla ricerca di sette ‘luoghi santi’.
Nonostante sia di solito notturno l’edizione del pellegrinaggio si è svolta invece in pieno giorno tra il caotico traffico romano,le folle di fedeli che assiepano le basiliche, i turisti che girano per la città, le torme di giovani che curiosano nei negozi aperti.
Tutto fila liscio: nessun iroso clacson ai semafori mentre il gruppo di settanta persone attraversava gli incroci, nessuna protesta sui marciapiedi, nessuno sfottò mentre l’altoparlante recitava a piena voce rosari e litanie mariane. Il romano sa riconoscere ciò che è “eterno” da ciò che passa. Soprattutto in tempi di cambiamenti epocali.
Il pellegrinaggio inizia da una messa alle sette del mattino sulla tomba di Pietro a suggellare l’abbraccio della Chiesa e del Vicario di Cristo in terra. Poi in metro a San Paolo fuori le mura. La sagoma isolata della basilica nel piattume generale che la circonda, tra il gasometro, i dismessi mercati generali ed un lungotevere caotico quanto spoglio, ne fa una sorta di avanguardia della fede. Quasi completamente distrutta da un incendio nel 1823 ospita la tomba di San Paolo. Dopo una rapida preghiera davanti all’apostolo si riparte per via ‘delle sette chiese’. Appunto.
Dopo un tragitto di alcuni chilometri per quartieri densamente abitati, si raggiunge la chiesa di San Sebastiano, alla quale San Filippo Neri era molto legato, perché nelle vicine catacombe di San Callisto da giovane aveva ricevuto la visione di un globo di fuoco. È una tappa nel cuore della testimonianze dei primi cristiani.
È già mezzogiorno quando,dopo altri tre chilometri, raggiungiamo per la sosta del pranzo Santa Maria in Domnica alla Navicella. Ai tempi del Santo si mangiava tra i campi. Ora anche qui è tutto edificato. ” Panis et perna” era il tipico cibo del pellegrino: pane e salame, un uovo sodo,un frutto. Non si disdegnava un bicchiere del vino dei vicini Castelli.
L’imponente sagoma di San Giovanni in Laterano attende vicina. Le quindici gigantesche statue ( Il Cristo,San Giovanni Battista, San Giovanni Evangelista,dodici dottori della Chiesa) sorvegliano dall’alto la piazza. Chissà quante ne avranno viste. E, letteralmente,di tutti i colori. La cattedrale di Roma, costruita da Costantino sulla caserma del corpo di guardia dell’imperatore era un edificio, potremmo dire ‘di rappresentanza’. E di questa impostazione conserva la magnificenza ed una certa freddezza architettonica dovuta per altro ai tanti rifacimenti successivi.
Da li a Santa Croce in Gerusalemme è un tiro di schioppo. Si attraversa un lungo viale in mezzo a giardini aridi e sporchi, piante sfiorite,assembramenti di emarginati. E quella che per qualsiasi giunta potrebbe essere un’ esaltante occasione di riqualificazione urbana, diventa ancora una volta una passeggiata nel degrado e nel menefreghismo.
In una moderna cappella a sinistra dell’altare della basilica sono conservati frammenti della croce del Cristo: inginocchiati davanti al Mistero si viene catapultati nelle atmosfere del romanzo di Evelyn Waugh, ‘Elena’, per altro ricordata in un affresco del Quattrocento nella conca dell’abside.
Sopra Roma si rannuvola. Le temperature ancora miti cedono il passo a refoli più freddi. Seguendo, all’interno delle mura di Adriano la vecchia linea del Pomerium, raggiungiamo San Lorenzo al Verano. Due chilometri e mezzo nella tristezza di una scrostata periferia tra pallidi manifesti che invitano a improbabili ‘rave party’, logori slogan inneggianti a Lenin,vecchi tranvai stracarichi di extracomunitari, usciti da cartoline del dopoguerra. Quando arriviamo alla Basilica il cielo oramai è livido e nero. Sembra accompagnare le tombe dei tanti che qui trovano riposo: da Alcide De Gasperi a Pio IX ( traslato qui di notte dal Vaticano per timore che i massoni ne violassero il corpo), da Don Giacomo Tantardini a Chiara Corbella.
Dopo una breve preghiera ed un canto, piove ormai a dirotto quando ci avviamo per l’ultima meta per un’ altra mezzoretta di cammino. Santa Maria Maggiore con i 75 metri del suo campanile ( il piu alto della capitale) e l’icona ‘Salus popoli romani’ ci accoglie. Manca ormai un quarto d’ora alla chiusura delle 19. C’è giusto il tempo di intonare il ‘Salve Regina’ prima di tornare a casa. Stanchi ma lieti dopo dodici ore lungo la nervatura cristiana che ancora, ne sono certo, tiene unita questa città.
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