Alla scoperta dei dinosauri italiani da Pietraroja a Besano, passando da Duino, Ciro, Alberto e il Saltriosauro. Sono i protagonisti del Giurassico italiano, la prova materiale che il nostro paese – o, perlomeno, qualche suo pezzetto – esisteva già oltre cento milioni d’anni fa.
L’Italia non è sfuggita all’evoluzione geologica: contesa e poi schiacciata tra Africa ed Europa, ha visto nascere e morire mari e oceani, di cui sono rimaste molte tracce nelle rocce della penisola. Ciro è una di queste testimonianze. È stato rinvenuto nel 1980 in una cava calcarea di Pietraroja – cittadina arroccata sui monti che segnano il confine tra Campania e Molise. L’appassionato Giovanni Tedesco scoprì i resti fossilizzati di quella che sembrava una semplice lucertola; per anni ha conservato con cura il reperto fino a quando, nel 1993, l’uscita della storica pellicola “Jurassic Park” ha risvegliato l’interesse per i dinosauri e lui si è chiesto se il suo fossile non fosse qualcosa più di una lucertola. Chiese aiuto a un amico paleontologo, che riconobbe lo scheletro di un piccolo dinosauro carnivoro. Solo nel 2004 il reperto è diventato bene dello Stato – dopo una polemica con accuse di furto sulla quale sorvoliamo – ma l’entusiasmo degli esperti fu subito grande.
Ciro – come dunque viene chiamato affettuosamente il fossile – appartiene al genere Scipionyx: dinosauri teropodi che vissero in Italia nel Cretaceo inferiore, circa 113 milioni di anni fa. Era solo un cucciolo, da adulto sarebbe stato simile a un Velociraptor: 1,3 m di altezza per circa 20 kg di peso. Oltre a dimostrarci che al tempo l’area dove oggi sorge Pietraroja era emersa e che i dinosauri vivevano anche in Italia, la particolarità del piccolo Scipionyx samniticus (originario del Sannio) è quella di essersi fossilizzato molto rapidamente cadendo in una bassa laguna dove il fondale privo di ossigeno ha bloccato il processo di decomposizione. Si sono così preservate parti di tessuti molli e organi interni come l’intestino (che contiene tracce del suo ultimo pasto), il fegato, la trachea, gli occhi, piccolissime porzioni della pelle e parti delle fasce muscolari.
Non è il primo rinvenimento al mondo di questo tipo, ma Ciro è così ben conservato da permettere agli scienziati di indagare su aspetti della biologia dei dinosauri che gli scheletri non possono chiarire. Tra questi la presenza di tracce di ferro nei suoi tessuti molli, che portano a ipotizzare che lo Scipionyx fosse un animale a sangue caldo. Per saperne di più bisogna visitare Pietraroja e la sua ricca installazione didattica, il Paleolab, accompagnati dalle guide competenti e simpatiche. All’ingresso un curioso ascensore teletrasporta il visitatore nel passato: tra immagini che scorrono veloci si attraversano idealmente le ere in un saliscendi geologico ben documentato. Il museo presenta poi un calco di Ciro, reperti, pannelli, ricostruzioni in 3D, filmati e grandi plastici interattivi.
Il ricco sito fossilifero di Pietraroja che ci ha regalato Ciro probabilmente nasconde ancora molti segreti: purtroppo non si sa se e quando riprenderanno gli scavi, da tempo interrotti.
Sul territorio italiano sono state fatte altre importanti scoperte “giurassiche”: per conoscerne un’altra dobbiamo spostarci a nord, nei pressi di Trieste. Correvano gli anni ’80 quando alcuni appassionati trovarono dei resti di organismi fossilizzati nella vecchia cava di Duino nota come “Il Villaggio del Pescatore”. Il rinvenimento avvenne in due momenti: nella prima campagna di scavo fu la volta delle zampe, quindi la posizione verticale della successione stratigrafica della parete diede la speranza che la cava nascondesse un grosso animale ancora intatto. E così era. I blocchi calcarei contenenti i resti dell’intero dinosauro sono oggi conservati al Museo di storia Naturale di Trieste. Antonio, così è stato chiamato il dinosauto-reperto, era un adrosauroide, un erbivoro antenato dei dinosauri a becco d’anatra. Viveva in un clima subrtropicale, come dimostrano i resti di altri dinosauri, di rettili volanti e anche la ricca fauna complementare composta da coccodrilli, pesci, gamberi e vegetali che lo circondavano. Alto 1,30 m, lungo quattro per quasi 350 chili di peso, è uno dei più grandi e completi dinosauri europei e ha portato a riscrivere l’evoluzione geologica del Carso triestino.
Si pensava che durante il Cretaceo Superiore fosse un ambiente marino e lagunare ma la presenza di Antonio e degli altri fossili dimostra che c’erano delle terre emerse, forse un arcipelago di isole. Nei periodi di regressione marina sarebbero state collegate le une alle altre e avrebbero consentito il passaggio ai grandi rettili.
Arriviamo così a un’ultima importante scoperta che ci tocca da vicino. È quella di Besano e del suo Saltriosauro, rinvenuto nella Cava, appunto, di Saltrio. Era un feroce predatore che visse in Lombardia ben duecento milioni di anni fa, all’inizio del Giurassico inferiore: otto metri di lunghezza per una tonnellata e mezzo di peso. I denti aguzzi come pugnali e gli arti inferiori muniti di tre possenti dita artigliate ne facevano una terribile macchina da guerra, assai simile agli allosauri nordamericani.
Probabilmente la carcassa del Saltriosauro fu trasportata in acqua dopo la morte dell’animale e si fossilizzò nelle sabbie di un basso fondale marino, non lontano dalla terraferma. I fossili – in particolare la forcula, un sottille osso del cinto pettorale che non si preserva quasi mai – sono stati trovati nel 1996 da Angelo Zanella, componente del comasco Gruppo brianteo di ricerche geologiche, che li ha donati al Museo di storia naturale di Milano. Purtroppo i blocchi di pietra che contenevano le altre parti del Saltriosauro rimasti nella cava sono stati ridotti in ghiaia per il fondo stradale.
Oggi il Museo dei fossili di Besano espone una copia dello scheletro del Saltriosauro, la cui esistenza dimostra che, all’inizio del Giurassico, nell’area geografica corrispondente a gran parte del Varesotto e del Luganese, esistevano delle terre emerse che si affacciavano su un mare chiamato Tetide. Si pensava si trattasse di piccole isole, ma un dinosauro carnivoro di otto metri non poteva certo accontentarsi di un’isoletta: le aree continentali erano molto vaste. Un’ulteriore dimostrazione che guardare al passato, anche lontanissimo, ci aiuta a riscrivere la storia del nostro paese.
- PALEOLAB – Mueseum laboratory of Pietraroja geo-palaeontological park, Pietraroja/Benevento. Sito web: http://www.artsanniocampania.it - Sito Paleontologico GEMINA, Villaggio del Pescatore, Duino-Aurisina TS ITALY – http://www.cooperativagemina.it/index.html - Museo Civico dei Fossili di Besano, Via Prestini, 5, Besano, Italia https://it.wikipedia.org/wiki/Museo_civico_dei_fossili_di_Besano
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