Quest’estate ho fatto un viaggio speciale, lungo un percorso che, partendo dall’Italia, ha toccato Spagna, Francia, Svizzera, Austria, Polonia, Oman, Kazakistan…mi fermo qui. Avrete già capito: sono stata all’Expo. Ci sono andata tre volte. Ho sfidato la calura dei primi giorni di agosto, ho superato il fastidio della grande folla di settembre, mi sono sottoposta alla tortura di qualche fila interminabile, ma soprattutto mi sono spogliata di tutti i pregiudizi costruiti in anni di polemiche e mi sono lasciata guidare solo dalla curiosità. È stato un divertimento puro, che ha toccato le mie corde più sensibili.
Non ci sono andata con l’intenzione di imparare qualcosa sulle tecniche di coltivazione e di conservazione dei cibi, sulle loro proprietà o sull’economia dei Paesi espositori, non ne avrei avuto il tempo. Ho voluto soffermarmi sugli aspetti estetici, sulla creatività degli allestimenti, su alcune innovazioni tecnologiche.
Ad ogni passo è stata una sorpresa, a cominciare dalla copertura del decumano e del cardo, concepita in modo da ombreggiare il percorso senza provocare cappe di calore. Quindi, già appena si entra si ha la sensazione che sia stato fatto un lavoro eccezionale.
Poi, in ciascuno dei padiglioni che ho visitato mi è parso di respirare l’atmosfera di quel Paese.
L’Austria è un bosco fitto, con piante vere, ruscelletti, uccelli, vaporizzatori per ricreare l’umidità naturale. (E non vi dico che sollievo rispetto ai 35 gradi esterni!) La Thailandia ci accoglie con dragoni dorati e fontane zampillanti che finiscono in una risaia. La Polonia ci conduce per un’alta gradinata dentro un giardino reso magico da un sapiente gioco di specchi, e poi, all’interno, per contrasto, in un ambiente scuro, dal gusto vagamente gotico. Il Kazakistan, dove le code sono lunghissime, rallegra l’attesa con la sua musica e le sue danze e poi ci stupisce con l’abilità di un’artista che disegna con la sabbia, e ci guida, in un viaggio tridimensionale, attraverso le bellezze dei luoghi. E “attraverso” non è un modo di dire, perché il filmato ci fa entrare di slancio dentro i paesaggi e persino dentro i palazzi. In Francia si giunge percorrendo un orto profumato di erbe provenzali. Il Nepal ci rasserena con un tempio e con centinaia di festoni colorati – su ogni velina una preghiera – nonostante il recente devastante terremoto. Non intendo descrivere tutti quelli che ho visto e togliervi il piacere di scoprirli da soli, ma in ciascuno c’è almeno una particolarità che incuriosisce, cattura l’attenzione, spesso coinvolge.
Palazzo Italia mi ha entusiasmato: l’architettura imponente, ma alleggerita sia all’esterno che nel salone d’ingresso dall’intreccio bianco della “foresta urbana”, crea un effetto di grande bellezza. E poi, conoscendo le caratteristiche del cemento biodinamico della copertura (confesso che avevo fatto qualche compito a casa), mi sono sentita orgogliosa per le capacità tecnologiche dei nostri ingegneri. Nella prima sala degli specchi, dopo un’iniziale smarrimento – “E adesso dove vado? Dov’è l’uscita? Andrò a sbattere da qualche parte?”- ho cominciato a divertirmi come una bambina al luna park. Però qui le attrazioni sono le bellezze naturali delle regioni italiane: mare, montagne, laghi, cascate che si susseguono in un caleidoscopio di immagini riflesse all’infinito. Nella seconda sala il “gioco” é riconoscere le bellezze artistiche e non è stato semplice, anche se quasi tutte le avevo già viste dal vero. Sono uscita felice di essere Italiana, mentre la voce critica interiore mi diceva “E la corruzione? E gli sprechi?”. Ma non era il momento di darle retta. Tanto più che le sale del “Tesoro d’Italia”, poco distanti, erano lì a dimostrare la nostra eccellenza nel corso dei secoli.
Ovviamente non potevo farmi mancare lo spettacolo di luci sull’albero della vita. Non mi ha stupito più di tanto: da che ho visto le pennellate luminose sulla facciata della cattedrale di Chartres, credo che nessuno spettacolo di quel genere potrà più stupirmi. Ma qui era diverso: qui c’era la stella di Michelangelo che si illuminava e pulsava al suono della musica. Era come se un filo invisibile mi unisse a tutti i grandi del mio Paese, come se una parte della bellezza italiana fosse anche nel mio DNA. Mi sembrava impossibile che in Italia e nel mondo ci fosse spazio per il male, il dolore, le guerre.
Intanto la mia voce critica cercava di infastidirmi: ”Mi diventi sentimentale? E Hobbes? E Machiavelli?” L’ho zittita subito: per un giorno almeno volevo essere Biancaneve e credere che la mela sia buona.
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