Si è creduto per anni che Bartolomeo Scappi, il principe dei cuochi rinascimentali che servì quattro papi, fosse nato a Bologna o a Venezia (dove pubblicò il trattato “L’opera dell’arte di cucinare”) e invece era originario di Dumenza in terra varesina, come accertò lo storico luinese Pierangelo Frigerio traducendo una piccola lapide nella chiesa parrocchiale di Runo; e si è sempre saputo che un altro “mostro sacro” della cucina italiana, Bartolomeo Sacchi, il cuoco-umanista che nel 1474 pubblicò il primo libro di cucina a stampa, dà lustro alla sua patria cremonese (era nato a Piadena, da cui il soprannome accademico Platina): e ora si scopre che deve la sua fama se non proprio a Varese, almeno alle Prealpi e al Canton Ticino.
Della valle di Blenio, non lontana dalle propaggini settentrionali del Varesotto, era originario il suo amico e maestro Martino de Rossi o de Rubeis, in arte Martino da Como, autore del “Libro de arte coquinaria”, che gli diede il permesso di copiare integralmente le proprie ricette: “Platina le impreziosì traducendole in latino – spiega Pier Luigi Piano, già direttore dell’Archivio di Stato di Varese – e il risultato fu il celebre trattato “De honesta voluptate et valitudine”, un manuale concepito per il diletto degli umanisti e rivolto a un’elite che aveva poco a che fare con la cucina e la medicina. È un testo che fonde insieme fonti antiche e moderne, una lettura leggera per fare sfoggio di cultura nelle occasioni mondane che celebra anche le ricette “nordiste” di Giovanni Bockenheym, il cuoco di Martino V”.
La rivoluzione culinaria “pontificia” era già iniziata ai tempi di Avignone e dei Concili quando le frequenti riunioni conviviali erano occasione di scambi culturali. Ogni cardinale portava i propri cuochi ed esportava ricette, gusti e abitudini culinarie, preferenze nei vini e modi di cucinare il cibo. Platina “arricchisce il piatto” affrontando anche gli aspetti dietetici, le regole di vita e il regime alimentare da assumere, dispensa consigli per mangiar bene e vivere sani. Copia le ricette di Martino da Como (c’è chi dice che collaborassero, uno dettava e l’altro traduceva in latino) e aggiunge osservazioni e curiosità: afferma che la carne d’orso provoca la nausea e che i tartufi eccitano alla lussuria, giudica poco salutari gli arrosti di maiale, consiglia il pavone spellato e rivestito con la sua stessa pelle dopo la cottura, apprezza il “bianco mangiare” a base di latte e le incredibili uova allo spiedo.
Che la cucina prealpina, snobbata cenerentola del Belpaese goloso, meriti un posto di rilievo nella storia della gastronomia nazionale lo ha ribadito il delegato varesino dell’Accademia Italiana della Cucina, Vito Artioli, nella conferenza di presentazione della nuova edizione del “De honesta voluptate”, tenutasi al castello di Masnago per iniziativa di Lucina Anna Rita Caramella, presidente del centro-studi preistorici e archeologici di Varese e direttrice della rivista Sibrium, fondata sessant’anni fa da Mario Bertolone. Si tratta di un’elegante versione con testo latino a fronte, edita da Leo S. Olschki (Firenze, 600 pagine, 58 €), commentata da Enrico Carnevale Schianca, membro onorario dell’Accademia, già scrittore di libri e saggi sull’opera di Platina; il quale Platina cuoco non era, ma un ex soldato sotto le insegne del Piccinino convertitosi alle belle lettere, istitutore a Mantova di Francesco Gonzaga, chiamato a Roma da papa Piccolomini e nominato bibliotecario apostolico da Sisto IV.
Un erudito, insomma, che scrisse tra l’altro Le vite dei pontefici romani, il saggio De Principe e la Historia urbis Mantuae: “Un serioso scrittore di filosofia e letteratura di corte – lo liquida l’autore Enrico Carnevale Schianca – che ebbe successo proprio con la più imprevedibile e meno impegnativa opera di cucina”. Non un semplice ricettario però, ma lo spaccato di un’epoca, questa è la forza di Platina: convinto che i suoi contemporanei possano misurarsi e competere con gli antichi in tutti i campi, dall’arte alla scienza, indica come esempio il Brunelleschi, autore della cupola del duomo di Firenze inimmaginabile dagli antichi; ed estende il discorso alla cucina, adotta il ricettario d’indiscussa validità di Martino da Como e lo trascrive nel latino tecnico di Apicio, autore a sua volta di un testo classico di cucina, il “De re coquinaria”.
ita Empedocle, Ippocrate e Galeno antichi filosofi, medici e dietologi e si rifà a Plinio, Catone, Varrone, Columella, Virgilio, Palladio e Apicio appunto, autori di testi d’argomento alimentare. Il “De honesta voluptate” contiene infine un piccolo giallo: da giovane Platina aveva aderito all’Accademia Pomponiana i cui adepti erano dediti ad eccessi ed appetiti di ogni genere, non solo alimentari, compresa la presunta volontà di uccidere il papa Paolo II che aveva sciolto l’accademia. Platina aveva reagito con due scritti rabbiosi, fu arrestato e quando uscì di galera pensò bene di riabilitarsi scrivendo l’Onesta Voluttà, che esaltava “la continenza del vitto e di ogni altra cosa alla quale aspira la natura degli uomini”. Un comportamento ambiguo e contraddittorio: infatti, tra tanti elogi ricevuti, ci fu anche chi andò a spulciare il testo alla ricerca dei nomi di chi aveva congiurato contro il papa.
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