1.120 milioni di vecchie lire. A questa cifra sarebbero ammontate le tangenti intascate dal comitato di affari cittadino per i lavori di risistemazione della tormentata Piazza Repubblica di Varese. Tangenti per la realizzazione del parcheggio, tangenti per la ristrutturazione degli edifici che avrebbero ospitato un centro commerciale, tangenti per la realizzazione del teatro cittadino, che non sarebbe mai stato realizzato. 1 miliardo e 120 milioni di lire di tangenti per soddisfare gli appetiti di una vorace classe politica.
Questa fu una delle accuse mosse dal pubblico ministero Agostino Abate nel corso della lunga requisitoria condotta dal 26 settembre al 19 dicembre del 2001 nel procedimento n. 226/97, quello, per intenderci, dedicato alla tangentopoli varesina (la requisitoria orale fu poi pubblicata a cura di Franco Giannantoni in un volume uscito nel 2002 per i tipi di Arterigere dall’efficace titolo La melma. Va anche ricordato che, con una singolare iniziativa, le Camere penali di Varese, Busto Arsizio e Milano chiesero che il volume fosse immediatamente ritirato dalle librerie, poiché la lettura di una atto pubblico avrebbe potuto «condizionare la serenità di giudizio del tribunale e ledere l’onorabilità di imputati»).
Piazza della Repubblica resta un luogo tormentato. Una piazza nata male, nel cui immenso spazio vuoto si è rispecchiato il vuoto politico che ha segnato lunghe stagioni della politica varesina. Un immenso spazio vuoto, sempre pronto ad ospitare acrobazie politiche e verbali da parte degli amministratori di turno. Un immenso spazio vuoto da riempire con progetti spettacolari, sfoderati in occasione di ogni campagna elettorale. I progetti poi svaporano ed il vuoto resta. Il vuoto fisico, di uno spazio che non si sa come riempire, ed il vuoto politico.
La piazza, dicevo, è nata male. Il 10 giugno del 1939 (ad un anno esatto dall’inizio della più sciagurata guerra voluta da Mussolini), furono appaltate le opere edili e stradali per la sistemazione di quella che era nata come piazza Mercato e che sarebbe poi diventata piazza Impero. L’Italia, infatti, dal 1936 vantava un Impero e i nuovi riti del fascismo reclamavano, per le oceaniche adunate di folla, spazi ben più imponenti della pur nuova e recente piazza Monte Grappa.
Fu così che il 23 marzo del 1940, data che, nel calendario fascista, ricordava la nascita a Milano dei Fasci di combattimento, fu inaugurata la nuova e gigantesca piazza Impero, in grado di accogliere, si legge sul quotidiano dell’epoca, sino a ventimila persone. «Sul luogo della scomparsa piazza Mercato – si legge nella «Cronaca Prealpina» di allora – il nuovo centro cittadino è stato progettato col criterio di divenire quasi un “Foro” per le grandi adunate e per le manifestazioni di popolo». Per l’occasione fu collocato sul lato sud della piazza, in posizione sopraelevata, il monumento ai Caduti del Butti, che dal 1925 era ospitato in piazza XX settembre.
Per un paio d’anni, l’immenso “Foro” fascista ospitò le grandi manifestazioni di un’Italia che stava precipitando rapidamente verso la catastrofe. Poi, il vuoto…
Oggi, credo che ogni soluzione architettonica si trovi a dover fare i conti con quell’enorme spazio vuoto fortemente condizionato dal parcheggio sottostante. Mentre la città non sa più che farsene di una piazza, luogo tradizionalmente di aggregazione e di socializzazione, pensata per raccogliere «sino a ventimila persone», a fronte di una popolazione residente che non arriva a 80mila abitanti (79.793 al censimento del 2011). E così la piazza rimane lì, immensa, centro che è scivolato verso la periferia, a raccogliere progetti e promesse. Forse l’unica vera sfida, per chi si candiderà a governare la città alla prossima scadenza elettorale, sarà quella di riempire quel vuoto. Riempire, cioè, una piazza con persone e non più solo con parole, immaginando un destino diverso per una città, che, da luogo di transito, come sembra oggi, torni ad essere uno spazio condiviso e vissuto.
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