Quelle incredibili Tre Valli del 1955, esattamente sessant’anni fa, le uniche nella storia della corsa della Binda disputate a cronometro e decisive per l’assegnazione del titolo italiano professionisti che allora veniva assegnato a punti e non in prova unica. Varese in quegl’anni era una città popolata di biciclette, di botteghe ciclistiche che odoravano di mastici, di oli, di camere d’aria, di gomme e di palmer. Quella di Augusto Zanzi in via Veratti era la bottega regina, per il passato del titolare e per essere la rappresentante ufficiale di zona della Bianchi, la casa che aveva il campionissimo a libro paga. Quando veniva a Varese per ragioni sportive, Coppi non mancava mai di fare un salto da Gusto, così lo chiamavano gli amici, addirittura in sua compagnia si concedeva, tra l’incredulità dei presenti, lo strappo di un aperitivo al caffè Garibaldi di corso Matteotti oggi consegnato alla Nespresso.
Quella vigilia delle Tre Valli era molto delicata per lui, doveva vincere perché voleva vincere per la quarta volta il titolo di Campione d’Italia. Comandava quella speciale classifica a punti dopo aver trionfato, in primavera, in maniera principesca al Giro della Campania e al Giro dell’Appennino. Al Giro d’Italia si era piazzato al posto d’onore a soli 12 secondi da Fiorenzo Magni col quale aveva stretto un’alleanza ai danni del giovane campione toscano Gastone Nencini nell’ormai mitica tappa Trento – San Pellegrino. Il 1955, dopo gli “scandali” dell’anno prima legati alla sua vicenda amorosa con Giulia Occhini, la dama bianca di Varano Borghi, e due rovinose cadute che avevano in parte compromesso la stagione, lo restituì integro alle folle delle due ruote. Aveva ritrovato il colpo di pedale, la forma delle annate migliori. Il percorso era esattamente lo stesso del Campionato mondiale del 1951, arrivo e partenza dentro l’ippodromo delle Bettole. Con una differenza però: si correva in senso antiorario, cioè gli atleti scattavano, a distanza di tre minuti uno dall’altro, davanti alle tribune e percorrendo il cavalcavia, costruito appunto per i “mondiali,” si immettevano direttamente sul Viale Valganna da dove risalivano fino a Ganna per poi girare a sinistra per Bedero. Da Bedero scendevano sul Brinzio che scalavano fino alla Motta Rossa quindi discesa e poi falsopiano lungo il viale Aguggiari.
Si corse nella luce dorata di domenica 2 ottobre. Presagi d’autunno viravano al giallo il verde dei boschi che orlavano il circuito. Un percorso molto selettivo e non certo scorrevole come è oggi diventato, adattissimo peraltro alle straordinarie qualità atletiche del campionissimo. L’unica concorrenza vera era quella di Pasquale Fornara, capace di precederlo nella crono del Giro e di Aldo Moser, il primo della dinastia di Palù di Giovo, fratello maggiore di Francesco, forte in salita e contro il tempo. Coppi aveva da poco compiuto trentasei anni, un’età ragguardevole per uno stradista sia pure del suo livello. L’età, la distanza proibitiva di quelle Tre Valli a cronometro – cento chilometri – lasciavano qualche dubbio. Fornara e Moser, gli sfidanti più titolati, avevano molti anni meno di lui. Arrivò alla partenza a bordo della mitica ammiraglia della Bianchi, indossava una tuta azzurra discretamente attillata, portava occhiali da sole scuri, appariva come sempre concentratissimo e taciturno.
Partì per ultimo, essendo il leader della graduatoria tricolore, alle spalle di Giuseppe Minardi, di Aldo Moser, di Fiorenzo Magni. Al primo passaggio sulla linea del traguardo, Fornara era davanti a tutti, Moser secondo a 3’’, Coppi a 11”. I tifosi che erano tutti per lui temettero che non fosse in giornata, che qualcosa nella sua poderosa ma delicatissima macchina non funzionasse a dovere. Non fu così. Alla seconda tornata era già al comando con 40” su Moser e Minardi, Fornara, sfortunatissimo, si era dovuto arrendere a un incidente meccanico.
Fu un crescendo impressionante. Corse tra due ali di folla urlante, volava, “pedalava nell’olio” come scrivevano i suiveur di allora nel descrivere l’azione fluida e potente dei cronoman. Varese ritrovava il campionissimo che proprio qui, nel ’39, sulle stesse strade, si era rivelato al ciclismo. Il vantaggio su Moser cresceva con matematica regolarità. Alla fine tra lui e il forte trentino ci furono due minuti e quarantacinque secondi. I cento chilometri della gara erano stati corsi dal campionissimo a 39.992 km. di media. Scese di sella raggiante, aveva esorcizzato ancora una volta con successo le ombre ambigue della decadenza che cominciavano a popolare la sua declinante giovinezza. Salì sul palco, indossò la quarta maglia tricolore della carriera, gettò i fiori alla gente in delirio. Raggiunse infine la postazione radiofonica dove lo attendevano per l’intervista di rito i radiocronisti della RAI. Poi il direttore sportivo Tragella lo fece salire a fatica sull’ammiraglia Bianchi. La vettura lasciò lentamente le Bettole inseguita da nugoli di tifosi di tutte le età che lo chiamavano a gran voce: “Fausto, Fausto”.
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