Quest’anno agli storici, ricorrenti argomenti clou per le cronache estive della carta stampata varesina, cioè i mai risolti problemi del Sacro Monte e del Pronto Soccorso dell’Ospedale di circolo, si è aggiunta una variante non certo brillante per la Giunta presieduta dal sindaco Attilio Fontana. Parliamo del pasticciaccio dell’ Isolino Virginia messo in atto dai reggitori del Comune di Varese.
A tempo abbondantemente trascorso per presentare al meglio ai visitatori in trasferta dall’Expo quel gioiellino dell’era palafitticola messo sotto tutela dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, a mezz’agosto tutto doveva essere pronto per riaprire in pompa magna il prezioso Isolino. Un pontile galleggiante nuovo di zecca, costato 40.000 euro di soldi pubblici, doveva sostituire quello vecchio ed inagibile d’imbarco a Biandronno. I cassoni dovevano arrivare per il montaggio dalla Schiranna dove erano parcheggiati da giorni su un Tir.
E invece? Invece sono arrivati … i Carabinieri. Due giorni prima di Ferragosto. Sì, i Carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale di Milano per verificare lo stato degli atti. Da chi inviati? Dalla Sovrintendenza, che evidentemente aveva dei dubbi sulla correttezza dell’opera e ha sospeso il tutto all’ultimo minuto. Pare, ma ripetiamo pare, perché i vari interessati la raccontano… soave, che il progettato nuovo pontile fosse stato approvato dagli Uffici interessati e responsabili del Comune di Varese, compresa la Conservatrice dei Musei Civici e del Parco dell’Isolino. Il manufatto fu subito ordinato per una spesa di 40.000 euro.
E l’autorizzazione della Sovrintendenza? Evidentemente non c’era. Tanto che, già pronti i cassoni in plastica del nuovo pontile, sono stati con urgenza chiamati dalla Germania tre esperti subacquei per controllare il fondale nel punto di appoggio del telaio in acciaio. Si dice per una spesa di 4.000 euro (ma quanto poco costano questi esperti, meno di una collaboratrice domestica). Insomma la Sovrintendenza voleva vederci chiaro, voleva verifiche archeologiche del fondale non limitate ai mattoni, a detriti e ai cocci di vetro che appaiono verso riva. D’altra parte è certo che i nostri antenati palafitticoli non bevessero birra in bottiglia…
Uno spettacolo deprimente di inefficienza, di scollamento tra assessorati ed uffici, anche di sperpero di pubblico denaro, di cui lo stesso sindaco Fontana finisce con essere vittima. Una giunta comunale allo sbando. Nonostante tutto a Ferragosto almeno il ristorante dell’Isolino è stato aperto ( non il Museo ) e con buon successo di pubblico a conferma delle potenzialità turistiche del luogo. Da allora però nessuna nuova. Tutto tace. Il nuovo pontile non è stato montato. Mancano altre autorizzazioni? Pare di sì. Di chi la responsabilità di questa “magra”?
L’Isolino Virginia, oggetto della figuraccia, fu donato al Comune di Varese dal marchese Gian Felice Ponti. Era il 1962 ed il Consiglio comunale ascoltò con deferenza la lettura dell’aulico atto di donazione redatto dal notaio Luigi Zanzi, allora consigliere comunale eletto come indipendente nella lista della Democrazia Cristiana. “Indipendente” non per caso. Il notaio in quegli anni nominato anche presidente dell’Azienda autonoma di soggiorno, era benevolmente indicato non solo dagli oppositori comunisti ma anche dagli stessi Dc come “Presidente AUTONOMO dell’Azienda” tanto riusciva a realizzare una sua personalissima direzione di quell’ente. Aborriva l’effimero, feste, concorsi, premi, convegni. Si batteva sempre affinché le allora notevoli risorse dell’Azienda fossero investite in durevoli strutture per i varesini e per il turismo. Infatti ha lasciato alla città l’immenso parco a lago della Schiranna ed il complesso sportivo-ricreativo delle Bettole. Quello con campi da tennis, club house, ristorante Kalimera, sale convegni. Acquisì pure i terreni dove successivamente sarebbe sorto il Palazzetto del ghiaccio con piscina. Su sua intercessione la signora Sai Vita accordò a Salvatore Furia quella serie di donazioni in denaro e terreni al Campo dei Fiori che diedero l’avvio a quella meravigliosa Cittadella delle Scienze. Insomma si può ben dire che il notaio Luigi Zanzi mise veramente a frutto per l’amata Varese tutti i suoi ampi rapporti professionali intessuti con la nobiltà e l’alta imprenditoria locale.
Quella del 1962 fu una seduta di particolare solennità. Accettando la donazione dell’Isolino i consiglieri tutti si sentivano partecipi di un importante evento. Conoscevano ben prima dell’Unesco il valore della scoperta fatta nel secolo precedente dell’insediamento palafitticolo preistorico datato attorno all’anno 4800 avanti Cristo. Grandi erano quindi le aspettative di nuove scoperte. Si immaginava una valorizzazione del sito che avrebbe suscitato non solo l’interesse degli specialisti ma anche del grande pubblico. Uno splendido gioiello che avrebbe fatto brillare di luce nuova tutto il Lago di Varese con una attrattiva turistica di pregio.
Che cosa sia poi successo nei cinquanta anni che da allora sono seguiti è cosa nota. Il lago diventato la cloaca massima di Varese e di tutti i Comuni rivieraschi evitando spese di opere fognarie che separassero le acque nere da quelle bianche. Un anello raccoglitore di liquami non in grado di dare garanzie di depurazione. L’Isolino ricordato a corrente alternata, con alti e bassi (molto i bassi…) senza riuscire a garantire un efficiente servizio lacustre di collegamento, senza portare a termine le campagne di ricerca archeologica, senza valorizzare pienamente il suo museo, senza adeguati servizi di accoglienza e ristoro… senza… senza…
Speranze perdute quelle di sindaco e consiglieri che avevano accettato con entusiasmo la donazione e speranze perdute sopratutto quelle dell’artefice di quella operazione, il notaio Zanzi che tanto si era personalmente speso. Aveva messo a frutto i suoi ottimi rapporti col marchese Ponti e certamente avrebbe meritato un esito migliore per il suo impegno verso la città.
Purtroppo non fu solo questa la grande delusione in vita del nostro notaio. Si aggiunse a quella procuratagli dall’esito negativo di un’altra iniziativa da lui propugnata e direttamente collegata al suo sodalizio col nobiluomo di Biumo Superiore. Il marchese Gian Felice Ponti morendo lasciò tutto il suo immenso patrimonio allo Stato Pontificio, tranne qualche modesto legato per l’amico e la servitù. L’intento era di preservare l’eredità senza vederla dimagrita dalla voracità fiscale. Quanto andava al Vaticano, è noto, non era tassato. Il tutto non dimenticando Varese, patria del donatore. Nel testamento infatti, per non insospettire il fisco, non ci furono precisi legati ma sicuramente l’auspicio che venisse realizzata nella nostra città una iniziativa accademica di alto profilo. Si parlò di corsi staccati dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano o qualche cosa di simile. Nella buona sostanza Varese avrebbe potuto essere una sede universitaria almeno una ventina di anni di anticipo. Ma non se ne parlò più.
Il patrimonio del marchese finì nella morta gora della finanza vaticana governata in quegli anni da banchieri come il Calvi finito impiccato a Londra sotto il ponte dei Frati Neri, e come il finanziere Sindona morto nel carcere di Pavia, avvelenato da un caffè al cianuro. Uno scippo vero e proprio a danno della comunità varesina.
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