Il populismo si sta espandendo in tutto l’Occidente, Stati Uniti compresi. Non è una nuova ideologia, ma un modello culturale trasversale che supera le vecchie distinzioni di destra e sinistra.
È una concezione della realtà che distingue nettamente la società civile, buona, dalla società politica, cattiva. Di conseguenza rifiuta il principio di rappresentanza, che ha consentito al sistema democratico di diventare universale, la pratica della mediazione e disconosce l’utilità delle istituzioni rappresentative. Sostiene la sovranità del popolo e ne accetta tutte le richieste, che tendono ad aumentare in modo geometrico, a scapito delle risorse che sono limitate. In questo modo eccede nelle promesse che poi non è in grado di mantenere, ma che sono vantaggiose per
ottenere consenso per la loro estrema semplificazione.
Inoltre il populismo diffida degli “estranei”, valorizza le etnie e non vuole costruzioni sovranazionali come l’Unione europea. Vorrebbe rinchiudersi nelle “patrie” ma, in mondo globalizzato e interconnesso, la chiusura delle frontiere non ci salva dalle crisi economiche, dal degrado ambientale e dalla diffusione del terrorismo.
La Lega
Il populismo della Lega Nord si basa sul rovesciamento di elementi di disvalore, con cui vengono connotati settori popolari, in elementi di valore. L’adattabilità del movimento di Bossi e ora di Salvini alle più svariate situazioni è il segno di un assoluto pragmatismo reso possibile dall’assenza di valori di riferimento.
Lo scandalo dei soldi del finanziamento pubblico gestiti a fini privati ha intaccato la credibilità del movimento ma, con la nuova Segreteria di Salvini, che assomiglia a un clone di Bossi, è di nuovo in ascesa.
Nonostante i cambiamenti introdotti dal nuovo segretario, la Lega non ha dismesso il suo complesso apparato simbolico che ne segna tuttora la sua specificità, né ha rinunciato alla possente macchina organizzativa e alla sistematica occupazione dei posti di potere nei luoghi di insediamento elettorale.
Esaurito l’iniziale periodo etno-nazionalistico, messe in sordina le argomentazioni secessioniste e lo stesso federalismo, le critiche della Lega si appuntano ora sulla degenerazione oligarchica dello
Stato ad opera dei partiti, dell’alta finanza e della grande industria che favorirebbero l’immigrazione per avere a disposizione un bacino di mano d’opera a basso costo.
La nuova Lega di Salvini ha spostato l’asse della sua propaganda sulla politica estera, soprattutto con la messa sotto accusa dell’Unione Europea e con la ossessionante denuncia del pericolo islamico; ma l’assoluta mancanza di proposte e di soluzioni dimostra l’ inconsistenza delle critiche.
La diffusione dei temi populistici nella società italiana è frutto di un lento e lungo processo di logoramento della democrazia rappresentativa.
Da gruppuscolo marginale di “outsider” il leghismo è diventato la prima manifestazione di massa del populismo; l’elemento di novità che ha portato nella politica italiana è il riferimento alle due principali fratture storiche del nostro Paese: il conflitto tra centro e periferie ovvero tra Stato centralizzato e contesti locali, tra il Nord sviluppato e il Sud arretrato.
Il leghismo si presenta come movimento etno-regionalista che enfatizza la specificità storica culturale e antropologica delle zone in cui è insediato, facendo dell’ambito locale una fonte di identità. La rivendicazione dell’autonomia è sfociata nella richiesta di secessione del Nord dal resto del Paese. Questa pretesa non ha avuto molto successo e il popolo italiano, compreso quello delle regioni settentrionali, ha bocciato il referendum per la riforma dello Stato: il federalismo, che ha dato cattiva prova con la dispendiosa spesa delle Regioni, è stato sostituito, come tema propagandistico, dalla denuncia dell’Europa unita e della moneta unica che non tiene conto però che l’Italia, come realtà economica, era già fallita negli anni Novanta quando fu costretta ad uscire dal sistema di convergenza delle monete nazionali e che, in un mondo globalizzato e interconnesso, non avrebbe alcuna possibilità di affrontare le nuove sfide.
Berlusconi
Agli inizi degli anni Novanta l’intervento della magistratura ha determinato il successo di Berlusconi. Non tanto per le inchieste a suo carico che lo hanno imposto all’attenzione dell’opinione pubblica, quanto per il discredito gettato sui partiti con la loro conseguente delegittimazione.
I giudici hanno gettato dei semi che si sono dimostrati adatti alla crescita del populismo.
Il “berlusconismo” non più sostenuto, come nella Lega, dallo spontaneismo di una parte della popolazione, è stato indotto dall’influenza determinante dei “mass-media”.
Si è diffusa la sensazione di una cesura tra una prima Repubblica, dominata dalla partitocrazia, e una seconda Repubblica in cui i cittadini hanno un’influenza diretta sulla politica e della contrapposizione tra una società civile buona e una società politica cattiva.
Le liste elettorali sono composte da imprenditori, tecnici, liberi professionisti: ma la nuova classe dirigente non dimostra di essere migliore di quella precedente sia sotto il profilo della competenza che sotto quello dell’onestà.
Questa mutazione culturale e antropologica è anche determinata dalla diffusione di un atteggiamento individualista, dalla accettazione universale del neoliberismo economico, dalla scomparsa dei corpi intermedi, come le associazioni, i partiti e i sindacati, dalla inadeguatezza delle grandi agenzie culturali, come la scuola e la chiesa, che avevano sin qui accompagnato la maturazione di un pensiero critico nelle masse, indispensabile elemento di sostegno del processo democratico.
In questa apoteosi del dilettantismo la Lega viene fagocitata da Forza Italia perché non dispone di una classe dirigente all’altezza dei compiti di governo; si limita ad occupare posti di potere ma segue la linea dettata da Berlusconi.
Il carisma dell’imprenditore televisivo le ha permesso di svolgere per due decenni un ruolo centrale nella politica ma il suo non è un carisma naturale bensì situazionale; nella “politica post-ideologica” l’affabulazione propagandistica ha portato l’Italia alla stagnazione e ad un regresso economico e democratico.
Il Movimento 5 stelle
I populisti avevano promesso di edificare un’epoca di trasparenza, efficienza e vicinanza ai cittadini ma il loro progetto è fallito. La delusione non ha però spento le pulsioni populiste: se un leader non funziona si aspetta il successivo per un nuovo inizio e così, incominciando sempre da capo, i problemi rimangono irrisolti.
Nel vuoto lasciato dalle forze populiste in crisi di credibilità è emerso, in maniera sorprendente e prepotente, il movimento dell’ex comico Beppe Grillo che declina una diversa versione della retorica populista, quella del “popolo del web”, che non conta che poche migliaia di aderenti ed è manipolato dai vertici.
Il M5S recupera svariati temi usati dalle forze populiste senza però utilizzare le logiche e gli obiettivi di quei partiti, propone invece una distinzione tra “in” e “out”, tra chi è dentro e chi è fuori dal sistema, tra gli inclusi che sono in grado di fare politica e gli esclusi perché incompetenti o indifferenti,
Apparentemente il M5S si è sviluppato dal basso tramite i “meetups”, le liste locali certificate che hanno trascinato al successo illustri sconosciuti. In realtà la formazione dei “5 Stelle” è sostenuta da una massa di cittadini culturalizzati ma poco informati, incapaci di usare il senso critico per cogliere la complessità del mondo attuale, disattenti o indifferenti, pronti a avanzare richieste senza però individuare le risorse, i mezzi e le soluzioni.
Il populismo costituisce una degenerazione del sistema democratico come delineato dalla nostra Costituzione repubblicana.
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