Mi chiamo Ferruccio, nato e vissuto per oltre cinquant’anni in una tranquilla zona verde della Brianza, quando la Brianza era ancora tranquilla e verde. Decisi di stabilirmi a Milano nel 2003, forse un po’ tardivamente visto che la mia vita lavorativa aveva sempre fatto capo ad aziende con sede italiana nel capoluogo lombardo. Il lavoro mi permetteva di viaggiare quasi tutto l’anno ed ero quindi molto soddisfatto. Tanti privilegi e totale autonomia, a fronte del solo impegno di raggiungere il target annuale imposto dalla casa madre. Pensavo quindi che sarei andato in pensione il più tardi possibile.
A farmi cambiare idea hanno contribuito le prime riforme nelle quali ero incappato, perché se da una parte il lavoro mi piaceva, dall’altra non sopportavo l’idea che sarebbe divenuto un obbligo. Perciò nel 2005 pensai che quarant’anni di attività sarebbero potuti bastare e decisi di uscire.
Cercherò di calarmi nel clima di quel periodo, quando nulla successe a caso, per avere la possibilità di esprimermi al presente. Superati i primi giorni di inevitabile sbandamento, inizio a pensare a cosa avrei fatto da grande per non perdere il ritmo e continuare a viaggiare, ma soprattutto per non cedere alle più diffuse lusinghe di chi si trova nella mia stessa condizione: sedere a un bar o sul divano di casa, supervisionare i lavori in corso o peggio.
Ma nulla succede a caso, perché qualche giorno dopo ricevo la telefonata dell’amica Barbara Olivi che vive da oltre otto anni nella favela Rocinha di Rio di Janeiro, la più grande e difficile di tutto il Sudamerica. Si occupa di assistere i bimbi di strada, di accudire gli anziani bisognosi di ogni cosa e di aiutare le donne in difficoltà. Lei fa tutto questo in totale solitudine, circondata dai narcotrafficanti padroni della favela. Ha bisogno di qualcuno che le dia una mano, così mi organizzo al meglio e parto.
Al ritorno dal Brasile tre mesi dopo, mi ritrovo avvolto in un piacevolissimo senso di benessere spirituale, come un manto di beatitudine. Sono ormai più di dieci anni che mi dedico a vario titolo al volontariato internazionale, ma ripensando a quella prima indimenticabile esperienza, l’immagine che mi viene in mente è questa, una forma piacevolissima di estasi mai provata prima. Gli amici che rivedo in Italia mi trovano diverso, rilassato, più disponibile all’ascolto e più attento alle loro necessità. Non credo di essermi mai sentito così bene.
Il meccanismo del ricordo è rimasto com’era durante il mio servizio militare, quando avevo diciotto anni. Si vive l’esperienza in funzione di chi si incontra e di ciò che si trova, a volte anche non benissimo, ma con la sicurezza che diverrà in ogni caso uno dei più bei ricordi della propria vita. Io provo ancora la stessa sensazione.
Durante il periodo alla Rocinha vivo emozioni fortissime, alcune piacevoli altre struggenti e al pensiero di quei tre mesi vedo ancora lo sguardo rassegnato di Beatriz, una piccina seduta sui gradini della scuola ad attendere la mamma che non sarebbe mai arrivata e… per questo qualcuno ha pianto. Quando credi che la tua vita sia a buon punto, quando pensi di ritenerti soddisfatto di ciò che hai realizzato, ti giunge inaspettato il desiderio di rivedere tutto, perché scopri che nulla vale di più della persona che hai di fronte, che ha bisogno di te e alla quale sei pronto a donare tutto. Questo è il gusto dell’attività che svolgo e, se l’interpretazione del tempo libero che mi regala lo stato di pensionato è corretta, deve riuscire a farmi vivere costantemente in questo stato di completo appagamento.
Con questa certezza decido che il volontariato internazionale sarà il mio futuro, perché non mi dovrò mai accontentare di qualcosa di meno. Così penso dovrebbe essere per tutti.
L’esperienza brasiliana mi apre nuovi confini, mi dà la possibilità di entrare in contatto con altre associazioni laiche e missioni cattoliche sparse un po’ dappertutto nel mondo e mi viene facile quindi decidere per le successive mete. Occorre fare l’inventario dei danni subiti dagli ospedali di tutta la zona indonesiana colpita dallo tsunami del 2004 per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che si sarebbe fatta carico della ricostruzione.
Altri tre mesi di nuove conoscenze, difficoltà magari, ma vissuti con assoluta serenità. Condivido le giornate con questa gente nei loro villaggi rasi al suolo, con le loro pene, le loro angosce e le loro remote aspettative e con la calamità che le ha ancor più allontanate. Traggo insegnamento dall’estrema sobrietà dei loro comportamenti, dalla dignità della quale sono capaci, dalla grazia intrisa di rassegnazione che li contraddistingue in ogni atteggiamento.
Il concetto del gesto fraterno che si pensa debba partire solo da chi può permetterselo, viene immediatamente stravolto dal sorriso aperto e leale col quale ricambiano. C’è forse qualcosa di più bello?
In una tribù delle isole Mentawai, mentre sono intento a scrivere mi si avvicina il figlio dello stregone capo, che osserva curioso il foglietto bianco sul quale scrivo e mi guarda negli occhi con aria interrogativa. Gli cedo allora la matita e guidando la sua mano gli mostro che il miracolo lo può compiere anche lui. Dopo qualche scarabocchio mi sorride ancora incredulo ma divertito, poi fugge via felice senza una risposta ai suoi mille interrogativi. C’è pace fra queste enormi palme!
Emozioni provate anche nei più recenti viaggi in terre incontaminate, con gli abitanti della giungla, incredibilmente dolci e puri, semplici ed affabili. Respirare con loro la stessa aria, condividere lo stesso cibo e dormire sull’erba, i bagni al tramonto nel torrente, tutti assieme e senza nulla addosso. Momenti indimenticabili fatti anche di una certa complicità che può diventare fine sensualità, discreta e naturale come solo in questi posti può esistere. Le loro cerimonie e i riti tribali in armonia con gli spiriti. Vivere tutto questo per lunghi periodi ha il potere di trasformarmi profondamente. Prendo sempre più coscienza di quanto sia tutto relativo e, ancora di più, di quanto possa essere più semplice vivere accontentandosi dell’indispensabile. Fino a quel momento per me le cravatte erano solo “Marinella”…
Mi ritrovo spesso anche in alcuni contesti fatti di un equilibrio poco stabile, in un complesso di elementi che senza la loro precarietà non starebbero in piedi. Quando questo capita e mi scopro più vulnerabile tendo a fare le cose al meglio, così il quotidiano diventa più colorito, più naturale, le sensazioni sono forti ma irrinunciabili. In ogni momento scopro brividi di entusiasmo per tutto ciò che merita interesse e dedizione. La promiscuità che non dà fastidio, il nulla che appaga pienamente in ogni situazione. Per questa ragione penso che questo tipo di esistenza abbia il potere di cambiare decisamente in meglio la vita di chi la vive.
Forse a me viene più facile perché adoro viaggiare, ma non avendo purtroppo la capacità di goderne come turista, devo necessariamente cercare qualcosa da fare, qualcosa di utile da unire al dilettevole. Frase fatta ma che mi calza a pennello. Viaggiando ho la grande fortuna di conoscere molte persone davvero speciali e ricevo proposte di ogni tipo, ma la più frequente è quella di restare o comunque di dedicarmi a tempo pieno ad una sola associazione, una decisione che non prenderò mai, non fa per me. Scrivevo in un racconto dal Perù che preferisco scoprire sempre nuove situazioni, posandomi ogni volta di fiore in fiore. Altrimenti svanirebbe la possibilità di vagabondare e di ricavare anche uno spazio per me quando possibile, così da continuare a curiosare qua e là per il mondo.
In questi paradisi dell’anima il tempo corre velocissimo. Succede sempre così quando ci si trova a vivere per diversi mesi nella lussureggiante natura fatta di niente e di tutto, dove un sant’uomo di nome Pio, selvaggio missionario laico, mi convince che noi passiamo troppo tempo della nostra breve vita a tenere tutto sotto controllo. Secondo lui dovremmo lasciare che qualcosa vada a rotoli ogni tanto, concederci il lusso di perdere un volo o dimenticarci un impegno. Scopriremmo così di essere umani e di vivere! Si può non essere d’accordo?
Non citerò i luoghi né le attività vere e proprie svolte in queste differenti realtà per brevità, ma sarò lieto di fornire tutti i dettagli a chiunque ne facesse richiesta, così come sto facendo per le persone che vogliono saperne di più su come iniziare col volontariato internazionale, o per diverse associazioni che mi chiedono informazioni utili al reclutamento di nuovi volontari. Con questo stesso scopo, un sito web mi ha richiesto di precisare attraverso un racconto, come potrebbe rendersi utile anche chi non ha mai svolto attività lavorative specifiche (e qui metto insieme i medici con gli infermieri, gli architetti con i falegnami, gli ingegneri con gli idraulici o elettricisti ecc…). Io non faccio parte di nessuna categoria ed anche per questa ragione mi sento spesso chiedere: ma cosa vai a fare? In quel racconto cerco di spiegarlo.
Si parla di Onlus, di Ong, di associazioni laiche o di missioni cattoliche indistintamente, di tutto ciò che comunemente viene definito terzo settore. Scopro che, come in ogni cosa non sono sempre rose e fiori ma, se escludiamo un paio di delusioni che mi fanno decidere di rientrare prima del tempo, il resto è una continua scoperta di nuove occasioni ed esperienze, che mi regalano sempre un enorme beneficio interiore.
Concludo citando il programma che ho in mente per quando deciderò di non viaggiare più o viaggiare di meno. Mi riferisco a una delle tante attività che potrei svolgere a Milano o in Italia, per conto di alcune associazioni fra le più conosciute al mondo. Mi tranquillizza avere questa prospettiva futura perché mi dà la sicurezza che non dovrò necessariamente rinunciare al privilegio ed al piacere del volontariato. E naturalmente non smetterò mai di suggerire questa grande opportunità a chiunque mi chiedesse un suggerimento su come impiegare il proprio tempo, in modo particolare dopo la pensione.
L’impresa più bella? Difficile a dirsi. Le delusioni più cocenti? Solo un paio in oltre dieci anni. Prossima meta? A giorni partirò per il Congo dove, in due diverse missioni situate a Kikwit e Kikombo, c’è la necessità di montare una serie di pannelli solari, oltre ad altri lavoretti di normale manutenzione.
P.S.: Il 15 maggio 2014 all’Auditorium dell’Umanitaria si era tenuto il forum sul tema dell’autoreferenzialità. Personalmente credo sia molto positivo raccontarsi, descrivere le proprie esperienze di vita con ciò che comportano in termini di arricchimento personale. Per questa ragione mi piacerebbe che si ripetesse il dibattito, così potrei invitare un paio di amici che confondono il sano desiderio di condivisione con l’autocelebrazione.
Ferruccio Brambilla / Volontariato Internazionale / Tel +39 348 8279 062 / ferbrambi@gmail.com
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