La recente scomparsa di don Giulio Greco, che ha svolto il suo ministero sacerdotale per tanti anni presso la Basilica di San Vittore, ha riportato alla memoria di tanti varesini che l’hanno conosciuto un periodo della Chiesa locale che ha segnato la vita di molti e che potremmo definire, senza rischio di retorica, indimenticabile.
Per molti don Giulio è stato un padre nella fede, ma anche per chi non l’ha frequentato in modo assiduo, ha rappresentato una presenza significativa: colpiva di lui una cordialità intelligente, che te lo faceva sentire subito amico.
Come mi ha scritto suor Maurizia Turconi, della Congregazione di Santa Giovanna Antida, che in quegli anni insegnava presso la Scuola Infermieri dell’Ospedale di Circolo: “La morte di don Giulio mi porta a volgere lo sguardo indietro, lontano nel tempo, per fare affiorare ricordi della mia esperienza vissuta. Ho il ricordo bellissimo di una Chiesa giovane, viva, gioiosa, Chiesa-famiglia, come dice Papa Francesco, che esprimeva la sua passione educativa, come desiderio di fare incontrare Cristo, in particolare attraverso il ministero dei suoi sacerdoti”.
Anch’io posso sottoscrivere quanto affermato da suor Maurizia, anche perché proprio in quel periodo, alla fine degli anni sessanta, sono ritornato alla fede, dopo che me ne ero allontanato durante la mia adolescenza: in particolare in quel tempo mi ha segnato l’incontro con due sacerdoti, don Fabio Baroncini e don Giancarlo Greco, anch’essi “preti della Basilica”.
Don Fabio me lo sono trovato in prima liceo classico come insegnante di religione: le sue lezioni mi hanno da subito sfidato ed hanno ridestato in me l’esigenza di trovare un significato per la vita; don Giancarlo l’ho conosciuto quando un amico mi ha portato, quasi “a tradimento”, all’oratorio San Vittore, di cui lui era in quegli anni l’assistente.
Attraverso don Giancarlo e don Fabio ho poi conosciuto anche gli altri preti della Basilica, il già citato don Giulio Greco, don Giampaolo Ermoli, don Franco Cardani, monsignor Alberti; negli anni successivi anche don Beniamino Bosello e don Luigi Balconi.
Quello che colpiva dei preti della Basilica era la loro unità: ognuno con la sua personalità e con i suoi particolari impegni pastorali erano, tra di loro, amici e coltivavano questa loro amicizia, consapevoli dell’importanza che essa rivestiva per tutta la città, per esempio non mancavano alla fine di ogni settimana, la domenica sera, di ritrovarsi a cena insieme, al ristorante Crotto di via Dazio Vecchio, dove il signor Pietro Colombo li accoglieva e li rifocillava.
Concludo raccontando quello che può apparire solo un aneddoto, ma che a mio avviso rende bene il clima di quel periodo: nel 1978 fu ordinato diacono don Roberto Campiotti, la cui vocazione era maturata proprio all’interno della comunità ecclesiale che faceva riferimento a San Vittore. L’ordinazione fu festeggiata con uno spettacolo, che si tenne nel salone dell’allora Collegio Sant’Ambrogio, oggi sede dell’Università dell’Insubria; io ero uno degli autori ed attori, insieme a Feliciano, Pippo, Mauro, Alberto, Carlo, Franco… rappresentammo una sorta di musical, i cui personaggi erano oltre al novello diacono, proprio i “magnifici sette” sacerdoti della Basilica; l’apoteosi si raggiunse quando entrammo in scena in sette, vestiti da prete, ballando e cantando sulle note della famosa canzone della gemelle Kessler “il mondo è piccolo per te, troppo piccolino, in seminario troverai, quello che vuoi, tu dacci retta e sarai, uno di noi…”
Era proprio così: incontrandoli nasceva il desiderio di essere come loro.
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