Pensavo di essere normale, ma ho dovuto ricredermi. Beninteso, non parlo di quella normalità psico-caratteriale così difficile da definirsi da non competere in fin dei conti a nessuno; parlo di una normalità assai più banale, modesta, quantificabile, a misura d’uomo… Per intenderci, centosettantotto centimetri per ottantadue chilogrammi, con un’apertura di braccia pressoché uguale all’altezza. Un normotipo robustello, insomma, o almeno così credevo.
Ebbene, contrariamente alla mia radicata convinzione, qualche giorno addietro si incarica di palesare la mia anormalità la colonnina d’accesso al posteggio superiore all’aperto dell’Ospedale di Circolo di Varese. Giunto colà, presso la sbarra d’entrata, sporgo il braccio per premere il tasto verde e ritirare il biglietto. Macché: pulsante irraggiungibile. Mi sforzo, mi allungo, mi tendo, mi stiro, slaccio la cintura (dell’automobile) e solo dopo aver aperto la portiera e messo un piede a terra, raggiungo lo scopo: pulsante premuto!
Ahimé, sono dunque anormale per difetto: le mie braccia, evidentemente, non rientrano in quella media nazionale di estensione degli arti superiori che, mi dico, il solerte progettista avrà certamente tenuto in conto posizionando la distanza corretta del marchingegno. Ma all’uscita scopro con sorpresa di essere invece anormale per eccesso: alla cassa (la colonnina dove si effettua il pagamento), già poco chiara per accumulo di polveri, la fessura che accoglie il biglietto e il piccolo schermo con le istruzioni sono posti ad altezza inguinale e non, come mi sarei aspettato, all’altezza degli occhi.
Con un profondo inchino, pagato il dovuto, risalgo in auto e, reso edotto dall’esperienza, questa volta striscio le gomme contro la piattaforma di sostegno della colonnina d’uscita riuscendo così a introdurre il biglietto nella apposita fessura con relativo dispendio di energie. Riparto rasserenato: difettoso all’entrata, eccessivo all’uscita, concludo che in fondo in fondo rientro nella media.
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