La conclusione del mandato di monsignor Gilberto Donnini come parroco della Comunità pastorale di Sant’Antonio Abate (che nel vissuto popolare è sentita ancora come la prevostura di San Vittore di Varese) e l’inizio del ministero di don Luigi Panighetti segnano un significativo punto di passaggio per tutta la Chiesa varesina, che coincide per molti aspetti con i cambiamenti in atto nella Chiesa ed anche nella società.
Il primo sentimento mio e di tutti è un commosso ringraziamento per il prevosto uscente, che in quasi dieci anni ha lasciato in città profondi segni della sua limpida personalità cristiana. Forse la storia lo ricorderà per aver condotto in porto la difficile fusione di quattro parrocchie importanti nell’unità pastorale dedicata a quel Sant’Antonio Abate cui i varesini sono da secoli affezionati. Si trattava di un’operazione difficile, che avrebbe potuto facilmente ridursi solo ad un maquillage burocratico di risistemazione territoriale, soffocando la storia e le tradizioni di ben consolidate realtà parrocchiali, ma la delicatezza e la sensibilità ecclesiale di don Gilberto hanno saputo evitare uno sterile burocraticismo favorendo l’inizio di una comunione reale soprattutto tra i sacerdoti e i consigli pastorali e superando la semplice preoccupazione organizzativa.
Ma ci sono alcuni altri aspetti della sua fisionomia umana e sacerdotale che mi piace ricordare: anzitutto la fedeltà all’amicizia con le persone coltivata ed approfondita nel tempo, ben al di là degli incarichi che andava assumendo, la capacità di essere un prete che quando celebra la messa lo fa in maniera insieme sobria e solenne con una predicazione limpida ed aderente alla vita che lascia sempre uno spunto da seguire nel quotidiano, e da ultimo la sua passione per la comunicazione (vissuta da giornalista professionista sin dai tempi del Luce), che diventa interesse culturale per le grandi questioni cruciali dell’uomo contemporaneo (è rimasto memorabile il dialogo tra Scola e Cacciari quando centinaia di varesini non riuscirono neppure ad entrare in un gremito teatro Apollonio). E ciò lo ha condotto a valorizzare le competenze di uomini di cultura varesini per lasciare un’orma sapienziale in città, aprendo collaborazioni soprattutto con i centri culturali. In questo don Gilberto ha messo a buon frutto la lezione sapienziale del cardinale Martini con il quale aveva lavorato da vicino come portavoce.
Al suo successore lascia dunque una significativa eredità soprattutto di rapporti coltivati negli ambienti più vari, sempre improntati alla testimonianza della fede da cui sola si può ripartire per affrontare le grandi sfide che ci stanno innanzi. Assicurati gli aspetti strutturali della comunità pastorale, ora si tratta di riprendere sino in fondo i contenuti della vita cristiana in luoghi di incontro in cui riconoscersi e dialogare. La storia varesina degli ultimi cinquant’anni, a partire almeno dalla prevostura di monsignor Manfredini, è stata segnata dalla presenza di cattolici impegnati ed è stata plasmata dalla forza educativa della Chiesa sulle nuove generazioni. Ora, senza voler dettare alcuna agenda di impegni, credo che il nuovo prevosto dovrà misurarsi soprattutto con la domanda educativa del mondo studentesco e giovanile in genere, ma anche con l’esigenza degli adulti di vivere con maturità la propria fede, sapendo affrontare degnamente i complessi problemi dell’oggi, ed in quest’ottica è importante che il piano pastorale dell’arcivescovo sia sul conformarsi al pensiero di Cristo.
Sin da oggi assicuriamo la nostra preghiera ai due sacerdoti: a chi lascia, rimanendo ancora al servizio della città in forme diverse, e a chi inizia il suo nuovo compito accompagnato con simpatia da movimenti, gruppi, centri cultuali, aggregazioni di spiritualità, iniziative caritative, realtà educative, e da tutti i fedeli perché, lavorando insieme, cresca la vigna del Signore.
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