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Cara Varese

STORIE DI OSPEDALE

PIERFAUSTO VEDANI - 21/01/2012

C’era una volta un “Circolo” dal quale trapelava poco o nulla a meno che non si trattasse di situazioni che avrebbero fatto felice messer Boccaccio: davvero non c’erano possibilità di segreto assoluto anche per vicende proibitissime e magari fuggevoli.

Gli anni ‘70 diedero il via alla crescita di due nuovi fenomeni di comunicazione interna: i giornali murali, autorizzati e no, e le pareti delle cabine degli ascensori, che raccontavano non poco della vita della comunità ospedaliera, circa duemila persone. Un rigurgito di minacce di stampo terroristico lo si è avuto, sempre per il tramite degli ascensori, qualche anno fa. Gli autori delle minacce, fatte ai vertici dell’ospedale, pretendevano soluzioni di altro tipo per alcuni problemi organizzativi.

La comunicazione “murale” in genere era seria, ma non mancarono maliziosi annunci di nuovi amori e anche incursioni goliardiche: di una fui protagonista e mi autodenunciai, scusandomi con le “vittime”, anni dopo in occasione di un convegno medico al quale ero stato cortesemente invitato d’urgenza come presentatore tappabuchi. Erano i tempi delle prime battaglie pubbliche degli omosessuali, io preparai un grande cartello, esposto nottetempo vicino al bar del sotterraneo, con il quale, a firma Pier Maria, si invitavano caldamente i medici omosex dell’ospedale a uscire allo scoperto per vincere una battaglia di libertà. Pier Maria era felicemente sposato e avrebbe fatto una bella carriera anche a livello istituzionale. Aveva il giovane medico solo il torto di fare parte del team del Pronto Soccorso dove con discrezione potevano accedere i cronisti di “nera”, che mai crearono problemi al mitico primario Montoli e al direttore sanitario Bignardi.

Nell’anno del Signore 2012 la comunicazione ospedaliera la fa, con valanghe di comunicati e documenti, l’ufficio stampa del “Circolo” mentre il gossip tra le mura viaggia con Telecom e soprattutto con email che sono più protette dei caveau della Banca d’Italia. È un fatto però che il via alle danze sul web lo possano dare gli interessati: prevenire è sempre opportuno. Per esempio il docente accademico Tomei, direttore della neurochirurgia, dopo una breve assenza ha informato la sua squadra di essersi fatto operare alla schiena nell’ospedale dove lavora suo figlio, pure neurochirurgo. Più la notizia si diffondeva lontano dal suo punto di origine, più crescevano le critiche al professor Tomei per la scelta fatta, che peraltro aveva una motivazione accettabile. C’è però chi ha ricordato che il rettore Dionigi ha affidato un suo congiunto ai neurochirurghi di casa quando senza fatica avrebbe potuto rivolgersi a un numero uno in Italia o negli Usa, cioè a un suo collega.

Insomma qualche mail rovente nell’ambiente accademico c’è stata, e il silenzio di Tomei sarebbe stato gradito. Il malumore non è affiorato a caso dal momento che alcune campagne acquisti di direttori di estrazione universitaria nel tempo non avrebbero corrisposto alle attese in termini manageriali. I medici ospedalieri sotto questo aspetto si farebbero preferire e quanto a preparazione scientifica sono nel solco di una tradizione e di una storia che onorano Varese.

La storia ci dice che ci sono stati primari e medici di alto profilo del “Circolo” che si sono rivolti ad altre strutture, ma in genere è accaduto per ragioni diplomatiche: infatti molte specialità del nostro ospedale hanno avuto e hanno due divisioni con altrettanti direttori e allora per non fare torto a nessuno si opta per una scelta esterna.

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