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Società

IL DOVERE DELL’ACCOGLIENZA

LUISA OPRANDI - 31/07/2015

Noi non insisteremo mai abbastanza sul dovere della accoglienza – dovere di solidarietà umana e di carità cristiana – che incombe sia alle famiglie, sia alle organizzazioni culturali dei paesi ospitanti. Occorre, soprattutto per i giovani, moltiplicare le famiglie e i luoghi atti ad accoglierli. Ciò innanzitutto allo scopo di proteggerli contro la solitudine, il sentimento d’abbandono, la disperazione, che minano ogni capacità di risorsa morale, ma anche per difenderli contro la situazione malsana in cui si trovano, che li forza a paragonare l’estrema povertà della loro patria col lusso e lo spreco donde sono circondati. E ancora: per salvaguardarli dal contagio delle dottrine eversive e dalle tentazioni aggressive cui li espone il ricordo di tanta “miseria immeritata”. Infine soprattutto per dare a loro, insieme con il calore d’una accoglienza fraterna, l’esempio d’una vita sana, il gusto della carità cristiana autentica e fattiva, lo stimolo ad apprezzare i valori spirituali.

Così Paolo VI scriveva nella Enciclica Populorum Progressio del 1967, affrontando un tema che, a distanza di decenni, è attualmente centrale nella nostra riflessione sociale, politica e amministrativa. Anche nella nostra città. Varese infatti, a fronte di un decremento della popolazione e di un esodo delle giovani coppie verso comuni dove il costo della vita – in particolar modo quello degli affitti – è meno elevato, fa registrate un aumento di stranieri che in pochi anni è raddoppiato. Le risposte richiedono quindi non solo di affrontare l’emergenza bensì di pensare a una dimensione dell’accoglienza come cifra, stile, misura della nostra vita collettiva.

Ricordo con quanta attesa, oltre dieci anni fa, Madre Augusta Negri, che ha preceduto Madre Maddalena Vatovic nel ruolo di superiora presso l’Istituto Addolorata, vedesse nella costituzione di un centro di accoglienza cittadino una importante risposta al tema della emigrazione e, contestualmente, a quello della povertà. Varese avrebbe infatti un altro volto se nel suo cuore urbano potesse raccogliere forze, risorse e progetti a favore dei nuovi cittadini, quelli più bisognosi, quelli che hanno addosso la sofferenza, la fatica e la nostalgia dell’avere lasciato terra, casa e affetti e a favore di coloro che, per svariate personali ragioni, si ritrovano catapultati nell’indigenza.

Il mondo del volontariato varesino risponde da sempre con grande forza alle urgenze umane e sociali, facendo rete, pensando saggiamente “oltre lo steccato” del bisogno immediato, mettendo in campo centinaia di persone che, nei vari fronti (dall’accoglienza per gli stranieri e i senzatetto, al sostentamento, all’aiuto medico sanitario, alla formazione), operano accanto e a sostegno di coloro che vivono situazioni ai margini.

Altra dimensione di comunità si creerebbe se la progettualità amministrativa mettesse anche l’accoglienza tra le proprie priorità, segnando un passo nuovo nella politica locale. Attorno ad un centro di accoglienza si potrebbero attivare infatti le forze economiche e culturali del territorio, trasformando in una risorsa quello che per tanto, troppo tempo, è stato definito “un problema”.

Soprattutto si avrebbe un sensibile decremento della logica improduttiva e inefficace delle “mani avanti” a difendersi da qualsiasi realtà suoni come distante e diversa. La relazione tra istituzioni e forme del privato sociale avrebbe modo di tessere legami efficaci in forme integrate di azione e progetti. La cultura giovanile ne trarrebbe a sua volta stimolo forte, perché “crescere” in contesti aperti, in una comunità civile che fa dell’accoglienza un valore da diffondere e alimentare, metterebbe in campo forze attive di cittadinanza partecipata che potrebbero solo dare esiti positivi nel tempo.

Tra meno di un anno le elezioni amministrative chiameranno i cittadini a scegliere attorno a quali valori costruire il futuro. Uno degli aspetti innovativi e capace di segnare una inversione di rotta potrebbe essere sicuramente quello di mettere in circolo un modo diverso di vivere i segni dei tempi, quelli che fanno la storia, quelli che tracciano percorsi dentro i quali camminare. Un centro di accoglienza rappresenterebbe la risposta che la città e la politica non hanno ad ora avuto il coraggio di offrire.

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