Dare un giudizio su Matteo Renzi dopo un anno e mezzo dalla presa di potere sul PD e sul governo non è così agevole. Una sorta di ciclone sulla politica italiana e soprattutto sul centrosinistra che ha scatenato entusiasmi e profonde divisioni. La sinistra con lui appare talvolta irriconoscibile per chiunque la guardi con le lenti della tradizione.
Un’importante novità è stata l’identificazione della leadership del partito con quella del governo. Anche chi (come me) ha sostenuto questo modello ha però dei dubbi su come è stato realizzato. Giusto che il capo del governo sia il leader del suo partito ma Renzi ha voluto mantenere il pieno controllo anche gestionale del PD e questo si è rivelato un limite per il suo rinnovamento. A livello centrale, ma soprattutto territoriale, la competizione fra gruppi e gruppetti si è perfino incattivita come hanno messo in luce le recenti elezioni regionali e amministrative con il loro risultato deludente.
I fatti hanno dimostrato che è indispensabile la mano ferma della guida nazionale per far crescere sul territorio dei gruppi dirigenti rispettati e credibili: un obiettivo non ancora raggiunto.
Meglio l’azione di Renzi sul piano del governo. Aveva troppo ecceduto con lo slogan “una riforma al mese”, impossibile da approvare e soprattutto da attuare. Ma ha inaugurato uno stile nuovo, fatto di rapidità, innovazione, energia vitale. Ha dato l’immagine di un’Italia che crede profondamente nelle riforme, che non si fa più assegnare i “compiti a casa”.
Bisogna riconoscere che quello italiano è stato il primo governo a richiedere apertamente il cambiamento delle politiche europee di austerità in favore degli investimenti per la crescita e l’occupazione. Qui il compito è immane. L’Europa appare sempre di più quella degli Stati nazionali, governata dall’asse Germania-Francia con Angela Merkel saldamente al timone. Il Partito socialista europeo, di cui il PD fa parte, è debole e diviso. Se il PD (insieme ad altri partititi europei) non ingaggia una battaglia per conferirgli forza e vigore alla fine ne risulterà depotenziato.
Un altro tabù della sinistra spazzato via in poco tempo è quello della inviolabilità della “Costituzione più bella del mondo”. Se questo è vero sul piano dei principi, non lo è assolutamente per quanto concerne l’ordinamento della Repubblica e le sue Istituzioni. A volte si è data l’idea di qualche approssimazione e della mancanza di un disegno organico di riforma, ma questa organicità la stiamo aspettando da troppo tempo per non apprezzare i tentativi riformatori anche parziali e perfettibili.
La riforma del mercato del lavoro, fatta largamente con il parere contrario dei sindacati, ha dato la misura della risolutezza innovatrice del governo. È una riforma sostanziale e molto simbolica non solo e non tanto per i suoi contenuti positivi (che da soli però non bastano a creare i posti di lavoro necessari) ma per il cambiamento del paradigma sociale di una forza di sinistra.
Ora però deve iniziare una nuova fase per far partecipare e unire di più le forze vive del Paese, per combattere le disuguaglianze sociali, per la sostenibile accoglienza dei profughi, per una revisione fiscale che conservi il principio della progressività, per una moderna formazione scolastica ed universitaria, per una pubblica amministrazione più efficiente. È una funzione nazionale che merita di essere perseguita con lungimiranza e insieme con audacia.
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