Ogni anno il 26 gennaio il Sacro Monte di Varese si popola di Alpini: salgono in preghiera la strada delle cappelle sino al Santuario ove assistono alla Messa. È un pellegrinaggio, un rito funebre, una commemorazione: quella della battaglia di Nikolajewka che molti ignorano completamente.
Occorre farne memoria, per dovere di cronaca storica, per rispetto a centomila gavette di ghiaccio, a centomila famiglie in cui si è pianto la perdita di giovani forti, sposi, padri, figli a causa della follia della guerra.
Nikolajewka è una battaglia che segna la grandezza del genio militare italiano, del coraggio e del valore dei nostri soldati che, impari per forze, si sono trovati a fronteggiare una situazione disperata, è l’apoteosi dell’iniziativa strategica italiana di cui essere orgogliosi, a prescindere da qualsiasi altra considerazione.
Il Corpo d’Armata Alpino inviato sul fronte del fiume Don nel 1942, costituito dalle Divisioni alpine Cuneense, Tridentina e Julia, affiancato da Divisioni di fanteria, privo di mezzi pesanti, fu attaccato il 15 dicembre dall’esercito russo che disponeva di un numero di soldati sei volte superiore e di settecentocinquanta carri armati. Accerchiate le retrovie, cioè le Divisioni Pasubio, Torino, Celere e Sforzesca che erano schierate ad Est, i Russi dilagarono per molti chilometri polverizzando ogni resistenza: gli Alpini ricevettero l’ordine di rimanere su posizioni di difesa per consentire la ritirata degli altri Corpi. Il 13 gennaio i Russi, con una manovra a tenaglia, racchiusero le ‘penne nere’ in una sacca costringendole alla ritirata. Dopo duecento chilometri percorsi in due settimane di marcia nella neve, sempre sotto il fuoco nemico, con pochi muli e slitte su cui venivano caricati i feriti e i congelati, il 26 gennaio gli Alpini giunsero a Nikolajewka, dove avvenne lo scontro determinante. Dal mattino alla sera si combatté sotto i colpi delle mitragliatrici e i bombardamenti degli aerei russi, con perdite sanguinose, con atti di eroismo spesso compiuti con la consapevolezza del sacrificio della propria vita. La battaglia doveva concludersi prima del tramonto, perché combattere di notte con una temperatura di trentacinque gradi sotto zero, significava morte per assideramento: così incitati dal generale Reverberi, i superstiti sferrarono un estremo assalto con intensità e rapidità tali che sorpresero e travolsero i sovietici, costringendoli a ripiegare e a lasciare sul terreno molti caduti accanto ai cadaveri di migliaia di alpini e a moltissimi feriti. Gli Alpini proseguirono la marcia fino a Awilowka dove c’erano le linee italiane e poterono ricevere i primi aiuti; dopo altri settecento percorsi a piedi, giunsero a Gomel da dove partivano le tradotte per riportare i superstiti in Italia: erano serviti duecento treni per il viaggio di andata, ne bastarono diciassette per il ritorno, e nessuno sarebbe tornato senza l’eroismo dei combattenti di Nikolajewka, che resta un esempio di coraggio, di spirito di sacrificio e di alto senso del dovere nella storia militare italiana. Quarantamila coloro che ‘rimasero indietro’ morti nella neve o dispersi. Migliaia di soldati vennero fatti prigionieri durante la marcia di ritorno e furono radunati dai sovietici in vari campi di prigionia: solo una percentuale minima dei prigionieri farà ritorno in Italia a partire dal 1945.
Quest’anno per celebrare la battaglia di Nikolajewka e per ricordare tutti i caduti, il Gruppo ANA di Varese oltre al pellegrinaggio al Sacro Monte, propone lo spettacolo ‘Bianco all’orizzonte’. La piéce è un racconto musicale ideato e realizzato dal corpo musicale di Cologne: come in una tragedia greca, musicisti e attori formano un unico grande corpo mobile bianco che si staglia nel buio del teatro, creando un’atmosfera fortemente drammatica, proponendo una riflessione sulla guerra insieme ai fatti narrati nella loro crudezza narrati attraverso l’indagine degli stati d’animo di chi è direttamente coinvolto nelle azioni e di chi rimane a casa in attesa di che è partito per il fronte.
La pièce è tratta liberamente dal libro Ritorno scritto nel 1981 dall’alpino Nelson Cenci, figura di otorinolaringoiatra ben nota a Varese ove ha esercitato per molti anni all’Ospedale di Circolo come primario; il professore partì per la Russia nel ’42, come ufficiale degli alpini nel battaglione Vestone. Ferito alle gambe nella battaglia di Nikolajewka, caricato su una slitta trainata da un mulo, ricoverato nell’ospedale di Karkov, gli si aprì col rientro forzato la strada verso l’Italia, verso la libertà, verso la vita, lontano dai tanti compagni su cui incombeva una tragica fine. Sono i compagni perduti che gli hanno impedito di dimenticare, lo hanno obbligato con l’animo gonfio di dolore a raccontare le vicissitudini del suo reparto attraverso la pianura russa, le tragiche tappe, i drammatici destini e il ritorno ‘a baita’ per pochi, come lui. Nei versi di una sua lirica la tensione e la sofferenza vissute:
Non più mani gonfie di gelo
volto scavato di fame,
occhi perduti nel vuoto.
Non più scarponi di ghiaccio
a trascinare per strade di neve
il grande desiderio di morte
con l’acuto ricordo di giovani vite
perdute a rattristare il cuore.
Ritorno è il titolo del volumetto che si affianca idealmente ai noti Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, commilitone di Cenci, e a Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi: la storia di Italiani proiettati nella campagna ucraina, nel freddo impossibile a -40°, nella lunga marcia di ritorno, nei settecento chilometri percorsi a piedi, senza ciaspole, con scarponi di cartone – quelli che spesso passavano disonesti calzaturieri alle truppe – in ogni pagina c’è il ritorno incessante della memoria verso quella esperienza. Cenci non fa polemiche: narra, in modo agile e lucido, i fatti vissuti e sottolinea come la convivenza pacifica e la solidarietà fra gli individui siano i valori fondamentali su cui costruire la vita per gli uomini.
Bianco all’orizzonte. La ritirata raccontata da Nelson Cenci
Teatro Politeama – Varese
28 gennaio 2012 ore 20.30
Ingresso gratuito
Libere offerte in favore dell’Asilo di Rossoch
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