Ignazio Silone (Secondo Tranquilli – Pescina 1900 / Ginevra 1978) è stato uno dei più grandi scrittori del Novecento. Appartenente alla piccola borghesia abruzzese, a dodici anni rimase orfano del padre mentre la madre morì nel terremoto della Marsica del 1915; la sua adolescenza povera si svolse nel cuore di una immutabile cultura contadina e fu segnata dall’incontro occasionale con un prete straordinario, don Luigi Orione, educatore e benefattore. Costretto a lasciare gli studi per motivi di salute, si buttò in politica abbracciando la causa socialista vivificata però da un profondo spirito cristiano. Grazie alla sua intelligenza e nonostante il carattere brusco e scontroso, riuscì ad emergere nel nuovo Partito Comunista d’Italia, sorto nel 1919 con la scissione dal socialismo.
Dopo l’avvento del fascismo e l’emanazione delle leggi eccezionali che avevano tolto la libertà al popolo italiano e instaurato la dittatura, Silone peregrinò nell’Europa sinistramente illuminata dai bagliori di due guerre mondiali e di due feroci dittature: quella comunista e quella nazifascista. Venne a contatto con tutta la classe dirigente del nuovo regime bolscevico ed ebbe una posizione chiave negli organismi del comunismo internazionale.
Fu al centro di eventi cruciali, soprattutto negli ultimi anni Venti quando a Mosca si verificò la svolta staliniana accompagnata dal “grande terrore”.
Silone fu uno dei pochi che al congresso della VI Internazionale comunista ebbe il coraggio di opporsi allo stalinismo e, nel clima conformista dell’epoca, venne messo alla gogna ed espulso dal suo partito il cui capo Palmiro Togliatti definì la sua rivolta morale come “un caso di malavita politica”. Silone si trovò ad essere considerato nemico da fascisti e comunisti e fu costretto a rifugiarsi in Svizzera, a Zurigo, dove trovò un clima cosmopolita e tollerante.
Neppure un anno dopo la sua emarginazione politica, si aggiunse alla tragedia personale l’arresto del fratello, accusato ingiustamente dalla polizia fascista di un attentato alla Fiera di Milano che aveva causato la morte di diciotto persone; pur essendo sicuramente innocente, venne condannato a dodici anni di carcere dove morì nel 1932.
Disgustato dalla politica, Silone scelse una nuova strada, quella di scrittore e romanziere. Scrisse “Fontamara” (1933), “Pane e vino” (1936), “Il seme sotto la neve” (1942) in cui descrisse la tragica situazione dei “cafoni” (manovalanza contadina) meridionali. Successivamente compose “Una manciata di more” (1952), “Il segreto di Luca” (1956), “La volpe e le camelie” (1960), due opere teatrali, “Ed egli si nascose” e il capolavoro “L’avventura di un povero cristiano” (1968) dedicato alla figura di Papa Celestino V il pontefice che, secondo Dante, “per viltà fece il gran rifiuto” ma che, nell’interpretazione di Silone, si dimise per l’impossibilità di conciliare i doveri del Vangelo con quelli del trono e per sottrarsi al condizionamento di potere della Curia, nonché i saggi politici “La scuola dei dittatori” (1938), “Uscita di sicurezza” e (insieme ad altri) “Il Dio che è fallito” in cui denunciò le miserie e gli orrori dei totalitarismi con una lucida e appassionata requisitoria del tutto esente da moralismi.
La sua opera letteraria fu dapprima accolta con diffidenza dai critici ma incontrò un crescente successo nel pubblico di moltissimi Paesi ove i suoi libri vennero tradotti sinché, negli anni Sessanta, ottenne un indiscusso e unanime riconoscimento.
La descrizione della condizione contadina, della questione meridionale, della disillusione del sogno comunista toccò la sensibilità e l’intelligenza dei lettori e, sull’onda di tale riconoscimento, si riaccostò alla politica partecipando all’Assemblea Costituente ove anticipò l’aspirazione ad un “socialismo dal volto umano e dalla spirito cristiano”.
Dopo la sua morte numerose pubblicazioni gli riconobbero non solo il ruolo di grandissimo scrittore ma anche quello di “coscienza morale” nel periodo di oscuramento della libertà e della democrazia.
Finché nel 1986 apparve una rivelazione inquietante: le ricerche dello studioso Dario Biocca, successivamente confermate da un altro scrupoloso ricercatore, Mario Canale, e più recentemente nella biografia (scritta in inglese e non ancora tradotta) di Stanislao Pugliese, hanno rivelato una scenario incredibile e sconvolgente.
Ignazio Silone aveva un rapporto di informatore della polizia fascista ben oltre l’amicizia e la familiarità con il funzionario politico del regime Guido Bellone, assai prima dell’arresto del fratello così da togliere ogni alibi alla possibilità che egli avesse agito per ottenerne la grazia. La scoperta di una lettera del 1930 all’agente Belloni non lascia dubbi; Silone dichiara di voler cessare ogni rapporto perché non è più interessato al denaro esprimendo il proposito di redimersi da tale “doppio gioco” che aveva motivazione non solo politiche ma anche venali.
La sconvolgente verità non lascia margini di giustificazione: Silone era una “spia” e la sua collaborazione con il servizio segreto fascista non segue l’espulsione dal Partito Comunista ma la precede di molti anni. Inoltre, nel dopoguerra, non disdegnò di accettare contributi da parte della americana CIA.
Oltre che ad alimentare comprensibili polemiche, la “doppia vita” di Silone ne distrugge la sua reputazione di alta moralità, trasformandola in una imbarazzante e incomprensibile dissociazione della sua personalità.
Perché lo ha fatto? Non si riescono a trovare spiegazioni se non nella devastante capacità delle dittature totalitarie di distruggere la libertà e di disgregare la coscienza personale. E tuttavia molte altre persone, meno dotate intellettualmente, sono riuscite a resistere alla tentazione.
Il “mistero Silone” resta impenetrabile; forse per intuirne l’insondabile realtà bisogna riprendere tra le mani “L’avventura di un povero cristiano” per trarre da questo piccolo capolavoro riflessioni sui temi enigmatici del peccato, del rimorso, del perdono.
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