Chiare, fresche e dolci acque… C’era una volta il lago di Varese che offriva a noi giovani tante opportunità di divertimento. Era lì che passavamo le nostre giornate estive. Nato e residente a Milano, fin da bambino trascorrevo i tre mesi di vacanze scolastiche a Varese ospite degli zii. I miei genitori sapevano che mi trovavo in buone mani di parenti affettuosi, il figliolo “cambiava aria” a vantaggio della salute e loro traevano qualche sollievo nell’impegno di condurre il negozio. Il ripetersi per tanti anni di queste vacanze varesine mi aveva consentito di intrecciare amicizie dall’età infantile nel rione di Belforte e, più grandicello, di conoscere tanti altri giovani per lo più studenti come me, sfaccendati, la cui maggiore occupazione era quella di trovare il modo di divertirsi al meglio nelle calde giornate estive.
Il luogo di incontri per noi era il noto negozio in via Veratti del ciclista Augusto Zanzi, un ottimo grimpeur che aveva partecipato ad alcuni Giri d’Italia ed anche ad un Tour de France nella squadra della Bianchi, la quale al termine della carriera gli aveva affidato la rappresentanza per la vendita delle biciclette del prestigioso marchio. È qui che conobbi in tempi diversi tanti appassionati di ciclismo: ” il filosofo” Quinto Bonazzola, “l’Ingegnere” Marcello Novario… ( ma erano ancora universitari di belle speranze ), il Franchino Broggini, il Marè, il Caremi, l’Adelio, il Pepp Macchi, i fratelli Renato ed Anselmo Morandi e tanti altri. Ci univa tra l’altro un generico ma sentito antifascismo, con una sola eccezione, il “Gim” Giuliano Modesti, ragazzo meraviglioso ma fanatico fascista, coerentemente andato volontario a combattere con le Camice Nere ancor prima di avere obblighi militari.
Erano i primi anni del conflitto e già cominciavano a giungere in negozio cartoline di saluto di chi in guerra era dovuto andarci. L’Adelio, da una corazzata nel Mediterraneo, il Pepp Macchi (il futuro comandante partigiano Claudio) da aeroporti della sponda africana e poi da Pantelleria, il Bianchi di Masnago sulla via del ritorno dal fronte della Cirenaica con una mano maciullata. Noi inconsciamente, come tanti, non sentivamo la bufera tragica che si stava avvicinando. La preoccupazione maggiore era quella del divertimento.
Avevo realizzato un profondo legame di amicizia coi fratelli Morandi, due ottimi corridori ciclisti su pista che non avevano tradito le promesse. Renato nel 1942 aveva vinto il titolo italiano velocità dilettanti ed Anselmo nel 1943 quello degli allievi.
Il mio rapporto era molto più stretto con Anselmo, coetaneo e con comuni interessi letterari e musicali. A giorni alterni di primo mattino, Anselmo aveva un impegno sportivo inderogabile: una sgroppata in bicicletta che serviva per rimanere in allenamento. Insieme facevamo il percorso Varese-Cunardo e ritorno. Una trentina di chilometri a pieni pedali, pancia a terra. Le mattinate finivano poi al fresco di qualche boschetto con la lettura della rosea Gazzetta o qualche commento del concerto vocale e strumentale Martini & Rossi che l’EIAR aveva trasmetto la sera precedente.
I pomeriggi erano destinati al lago. Si raggiungeva la Schiranna in picchiata, si lasciavano le biciclette in custodia al barcaiolo noleggiatore. Talvolta a noi due si aggiungeva qualche altro amico. Una bella remata su una di quelle pesanti barche che portavano comodamente sei e più persone. Direzione fissa l’approdo di Bodio dove bagnarsi era meglio che alla Schiranna. Raramente si andava a remi fino a Cazzago, al plus dei bagni nella rinomata spiaggia della “baia del Re” che rimaneva invece la meta delle gite domenicali di tutto il clan del negozio Zanzi.
Io però dovevo rimanere un bagnante clandestino. La Zia Pina, che nelle estati varesine faceva le veci di responsabile e preoccupata madre, mi aveva proibito di bagnarmi se non insieme a mio cugino più vecchio di me di una dozzina di anni. Per cui non potevo portarmi da casa le mutandine da bagno e mi tuffavo sempre con i boxer normalmente indossati. Che poi in qualche modo dovevo riuscire a far asciugare. Quel giorno stavamo per rientrare alla Schiranna, e mentre io ero ai remi Anselmo mi fece il lancio. Colpa della brezza e della disattenzione i miei boxer finirono in acqua… Mai più ripescati. Dovevo tornare a casa coi soli pantaloncini. Che avrei detto alla zia Pina? Con ironia l’Anselmo cercò, sornione, di rincuorarmi. “Sei un maschietto, pensa se a dover tornare a casa senza mutandine fosse una ragazza…”. Ci ridemmo sopra.
Le domeniche appunto erano dedicate al bagno super alla Baia del Re, dove il fondale scendeva lentamente e larga era la spiaggia. Il paradiso dei non provetti nuotatori. Alla gita partecipava tutta la banda, almeno una dozzina di persone in bicicletta, con l’Augusto in testa. Si raggiungeva Cazzago Brabbia attraverso la vecchia strada sterrata che allora collegava i paesi a sud del Lago. Una strada stretta, tortuosa, tutta saliscendi. Mi tradì il pietrisco e la sabbia di una delle tante curve e rovinando a terra mi sbucciai non poco il gomito ed il braccio destro. A Cazzago in una villa di uno dei tanti Ponzellini, una signora lontana parente degli Zanzi ci ospitò ed ebbe cura di me. Amorevolmente mi ripulì, disinfettò e fasciò le ferite mentre gli altri del gruppo avevano intanto raggiunto la Baia del Re.
Io li raggiunsi più tardi. Stetti seduto a riva un po’ di tempo col broncio, invidioso di vederli giocare e divertirsi nell’acqua. Infine non resistetti e mi tuffai anch’io. Incosciente.
Il lago inoltre suscitava tutti i divertimenti della pesca. Il Sergio Frabotti, vicino di casa, con la complicità della mamma riusciva ad avere le chiavi del lucchetto che bloccava il barchino da pesca del papà ormeggiato alla Schiranna al dopolavoro dell’Avio Macchi. Si prendevano gobbini in quantità e raramente riuscivamo ad allamare qualche tinchetta. Ma anche qui poteva succedere l’imprevisto. Un giorno, diretti verso Capolago, notammo una barca abbandonata alla deriva coi remi rilasciati in acqua. Pensammo a una disgrazia, a un annegamento, a qualcuno che aveva bisogno di aiuto. Sergio aumentò il ritmo della remata del barchino dal fondo piatto e silenzioso. Giunti nelle vicinanze, dal bordo della barca fantasma emerse la testa di un giovane visibilmente infuriato. Altro che salvatori: avevamo interrotto i giochi amorosi di una coppia. Nell’allontanarci Io allargai le braccia, roteai le mani mimando chissà quali cenni di scuse.
Non sempre col nostro lago si poteva scherzare. Un giorno in un canneto stavamo pescando da qualche ora. Il sole era scomparso e un po’ di vento si faceva sentire. Sarebbe stato il caso di rientrare, ma i gobbini abboccavano più facilmente del solito e spiaceva chiudere la partita. Tra le canne tutto appariva ancora tranquillo, ma quando uscimmo all’aperto ci accorgemmo che le acque si erano increspate e che il vento si era fatto impetuoso. Un temporalaccio era ormai sopra di noi. Sergio remando in piedi sul barchino ce la metteva tutta per cercare di raggiungere il nostro approdo. La punta era vicina, forse meno di 200 metri ma era impossibile avanzare e le onde stavano paurosamente superando le basse sponde del barchino. Rientrammo fortunosamente tra le canne dove il basso fondale poteva salvarci. E lì rimanemmo, pieni di spavento, a sorbirci una mezz’ora di gelida acqua temporalesca.
Ci era andata bene e potevamo raccontarla sottolineando le insidie che il nostro lago può sempre nascondere con repentini cambi di tempo.
Il 25 luglio ’43 la caduta di Mussolini ci disse che molte cose stavano cambiando e il successivo drammatico 8 settembre costrinse anche noi vitelloni di provincia a scelte di piena responsabilità. La spensierata combriccola del ciclista Augusto, non mancò di schierarsi dalla parte giusta. Quella della lotta per la libertà e della collaborazione con gli Alleati per sconfiggere nazisti e fascisti.
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